La storia di Fulvio Gelato

La storia di Fulvio Gelato

Zecchino d’Oro 1967 – Un milione di anni fa

 Preambolo

Ho sempre cantato, sin da piccolo. A 4 anni, a Napoli,  frequentavo per gioco una scuola di canto per bambini e adolescenti che si chiamava Pinocchio d’Oro (un mezzo presagio). Io ero il più piccolo degli allievi e per questo tutti mi chiamavano Topolino. Qualche esibizione qua e la, insieme ai più grandicelli della scuola. Io per tutti ero sempre Topolino, la mascotte delle scuola  e quando apparivo sul palcoscenico erano applausi a non finire per la simpatia che ispiravo tanto ero piccolo. Cantavo qualche canzone per bambini e qualche “macchietta” napoletana, suscitando l’ilarità di tutti. Ero intonato e cantavo a tempo, ma soprattutto, senza vergogna.

Le selezioni dello Zecchino

Era l’autunno 1966 e mio padre, quando seppe che a Napoli ci sarebbero state le selezioni per lo Zecchino, decise di iscrivermi. Per le selezioni preparai come canzoncina “il pinguino Belisario”, dello Zecchino 1966. Le selezioni si svolgevano presso la chiesa di Santa Chiara, dai gesuiti. È li che vidi per la prima volta Mariele, accompagnata da sua madre. Ovviamente, come spesso capita ai bambini per le occasioni importanti, io quel giorno avevo la febbre. Faceva freddo ed ero imbacuccato nel mio cappottino, col cappello di lana calato fin sul naso. Nonostante ciò, e forte della sana incoscienza dei bambini, cantai la mia canzoncina fino in fondo, pur con la voce a trombetta di chi è fortemente raffreddato. Mariele mi rassicurò con la dolcezza che avrei imparato a riconoscere da lì in avanti e il maestro Bussoli, storico direttore dell’orchestra dello Zecchino, mi accompagnò al piano. Alla fine del primo turno di audizioni mi dissero di attendere, segno che avevano valutato positivamente la mia “performance”. Ci fu poi il secondo turno, questa volta ristretto a pochi bambini. Alla fine fui preso e fui invitato a partecipare a Bologna alle selezioni nazionali. I miei genitori ed io eravamo contentissimi della cosa, soprattutto perché maturata in condizioni di salute un po’ precarie.

Il primo viaggio a Bologna

Era la prima volta che prendevo il treno, in assoluto. Destinazione Bologna, mi accompagnava mio padre. Mia madre doveva restare a Napoli ad accudire la mia sorellina che aveva poco più di un anno. Ricordo, come fosse ora, i seggiolini di finta pelle marrone dello scompartimento del treno. Il viaggio durava tantissimo, troppo per starmene tranquillo. Tempestavo mio padre di domande su ogni cosa mi venisse in mente e gli altri passeggeri sopportavano e sorridevano. Passando da Firenze ricordo nitidamente di aver visto, col naso attaccato al finestrino, gli effetti dell’alluvione del novembre 1966, appena accaduta. Fango e detriti erano ancora lì, dappertutto e il colore che predominava era il grigio.

Le selezioni nazionali

Alle selezioni di Bologna eravamo in tanti, non saprei dire quanti, comunque qualche centinaio di bambini e altrettanti genitori, provenienti da tutta Italia. Eravamo al teatro dell’Antoniano e, uno alla volta, ci esibimmo tutti quanti. Anche qui fui preso ed entrai a far parte del gruppo di 28 bambini, che avrebbero partecipato al 9° Zecchino, anche se ancora non sapevo se come solista o nel coretto. Comunque era incredibile. Così tornai a casa, a Napoli,  con la grande notizia della partecipazione al prossimo Zecchino.

Il secondo viaggio a Bologna ed i preparativi

Ritornai a Bologna credo dopo qualche settimana, per trattenermi più a lungo, questa volta per andare sino in fondo allo spettacolo. Alla fine sarebbero stati una decina di giorni. Fummo alloggiati tutti nello stesso albergo, mi sembra vicino alla stazione di Bologna. Dei primi giorni ricordo il grande freddo e la nebbia, fenomeno nuovo per me, ce n’era tanta che non si vedeva il palazzo di fronte. Cominciai a conoscere i frati dell’Antoniano, e la loro enorme pazienza. Ricordo nitidamente l’accoglienza di padre Berardo e di padre Gabriele.

Venimmo subito coinvolti nella scelta delle canzoni. Bisognava accoppiare ogni bambino alla canzone più adatta a lui. Entravamo a piccoli gruppi in una sala col pianoforte. Al piano c’era il maestro Giordano Bruno Martelli, grande musicista, con la sua immancabile pipa ed ovviamente c’era anche Mariele. Non so perché, ma quando mi fecero provare un pezzetto di “Un milione di anni fa”, l’unica che provai, decisero subito che quella sarebbe stata la mia canzone, senza alcuna esitazione.

Risolte tutte le assegnazioni, fu poi la volta della scelta degli abitini che avremmo indossato durante lo spettacolo. Ci mandarono in una sartoria, dove poi saremmo ritornati più volte, per le prove di misura. Per me fu scelto il tema del marinaio (forse perché venivo da Napoli, o forse perché il protagonista della canzone era uno che le sparava grosse, come a volte si dice dei marinai). Il mio vestito fu realizzato con pantaloni blu ed un maglioncino a righe rosso e blu con una bella ancora nel mezzo. Ovviamente lo conservo ancora.

Le giornate bolognesi scorrevano freneticamente fra prove varie per imparare le canzoni, sessioni fotografiche per la stampa e spostamenti in autobus per le misure in sartoria. La sera ci ritrovavamo tutti insieme a cena, bambini e papà o mamme, nel ristorante dell’albergo. Per me era il momento più bello della giornata. Finalmente potevamo giocare insieme e far esplodere le nostre energie. Mettevamo a ferro e fuoco tutto l’albergo e non so quante volte, scappando alla vista di mio padre,  sono rimasto bloccato in ascensore, insieme a qualche altro bambino “esuberante” come me. Schiacciavamo i tasti a caso, fin quando le porte non si bloccavano. Il dopo cena serale veniva anche utilizzato per ripetere a memoria il testo della canzone. Il mio “collega” Walter Brugiolo, non ne voleva sapere di imparare a memoria i versi della sua Popoff, facendo disperare sua madre. Allora mio padre la aiutò e si mise di impegno a trovare ogni sera qualche espediente per  fargli memorizzare la sua canzoncina.

Infine si passò alla registrazione delle canzoni su disco. Un’epidemia di influenza ci aveva colpito più o meno tutti e questo rese le registrazioni particolarmente faticose. Mariele, cogliendo i momenti di minore virulenza di ciascuno di noi, ci chiamò uno ad uno in sala d’incisione. Grazie alle sue indicazioni e ai suo gesti decisi (in quella occasione notai la forza e la sicurezza delle mani magrissime), dopo aver preso dimestichezza con la situazione nuova e soprattutto con la base musicale preregistrata, ogni canzone fu registrata nella sua versione definitiva e fissata poi sui dischi di vinile, sia in versione 45 giri (due canzoni, una per lato), sia in versione 33 giri (tutte le 12 canzoni).

Lo spettacolo

Cominciammo a incontrare anche mago Zurlì che ci faceva tante domande per prendere confidenza con noi e che ci dava consigli su come comportarci durante lo spettacolo. Conobbi anche Richetto, ma ricordo che vedere un adulto vestito da bambino che faceva tante marachelle mi faceva un po’ paura.

Nell’imminenza della manifestazione, che si svolse dal 3 al 5 marzo 1967, sui giornali per bambini (come Il Corriere dei Piccoli) ma anche su quelli nazionali, furono pubblicati tanti articoli e nostre foto. Ogni città faceva il tifo per il proprio beniamino e, nel mio caso, i giornali di Napoli uscirono con parecchi articoli su di me. Inoltre mi arrivarono tanti biglietti, lettere e telegrammi di incoraggiamento, anche da persone che non conoscevo.

Finalmente arrivò il giorno della prima serata dello spettacolo. Le 12 canzoni partecipanti erano state divise in due gruppi. Le prime sei si esibivano nella prima serata e le rimanenti nella successiva. Passavano alla finale della terza serata le prime quattro di ciascun gruppo.

Noi bambini eravamo intrattenuti in una grande sala piena di giocattoli e non pensavamo ad altro che a giocare. Venivamo chiamati appena prima del momento della esibizione e, sulla presentazione di Mago Zurlì, venivamo “spediti” sul palco nascosti all’interno di una scenografia a pannelli montata su ruote. L’apparizione sul palco della scenografia veniva sottolineata ogni volta dalla sigla di accompagnamento, diventata poi familiare, suonata dall’orchestra diretta dal maestro Bussoli, con i suoi enormi baffi. I pannelli, che riassumevano la storia di ogni canzone (nel mio caso c’erano tre enormi animali, una giraffa, un elefante e un bassotto) poi si aprivano magicamente al centro dello studio e ci mostravano al pubblico e alle telecamere. 18983269_10211238990244820_2089099934_nMago Zurlì nell’intervista di rito mi chiese se ero io che mi chiamavo come il gelato o se era il gelato che si chiamava come me. Con la mia faccia tosta risposi che era il gelato a chiamarsi come me. Le votazioni avvenivano attraverso una giuria di bambini, che alzavano le mitiche palette di legno. La prima serata mi classificai al primo posto, con 156 voti su 160. Oltre alla mia canzone, passarono il turno anche “La minicoda”, “Per un ditino nel telefono” e “E ciunfete nel pozzo”. Alla seconda serata passarono in finale altre quattro canzoni, “Il leprotto pim-pum-pam”, “Para papà”, “Il cane capellone” e “Popoff”. Comunque a noi bambini interessava poco la classifica, per noi tutto era un gioco, non c’era competizione ed eravamo ormai affezionati gli uni agli altri.

Alla terza serata, ebbi un piccolo ma buffo incidente appena prima della mia esibizione: l’elastico dei miei pantaloni si ruppe improvvisamente e i pantaloni rotolarono giù. Mago Zurlì stava quasi per chiamarmi in scena, era arrivato il mio turno e per fortuna un macchinista del teatro ebbe la prontezza di riflessi di recuperare un pezzo di spago che avvolse intorno ai pantaloni bloccandoli in maniera precaria. Poi mi tirò giù il maglioncino più che poteva, nascondendo la cintura provvisoria. Insomma io cantai più che altro con la paura di perdere i pantaloni da un momento all’altro. Alla fine vinse Popoff, la canzone che più delle altre era entrata nella testa di tutti.

Il dopo Zecchino

Continuai a vedere Mariele per qualche anno ancora, quando tornava a Napoli per le nuove selezioni. Lo Zecchino mi diede molta popolarità. Subito dopo e negli anni successivi, fino a meta anni ’70, oltre a continuare a cantare in manifestazioni varie, fui chiamato più volte dalla RAI per partecipare, come piccolo attore, a diversi sceneggiati televisivi e radiofonici, quelli che potremmo definire le fiction di allora. Tra questi ricordo Casa di Bambola (di Ibsen, con Giulia Lazzarini), Il segreto di Luca (di Ignazio Silone, con Riccardo Cucciolla e Turi Ferro) e Il Cappello del Prete (di Emilio De Marchi, con Luigi Vannucchi). La scuola poi prese un po’ alla volta il sopravvento sulla carriera artistica.

Il ricordo, oggi

Sono stato un bambino decisamente fortunato a partecipare alla nona edizione dello Zecchino d’Oro, nel 1967, che è stata una delle edizioni di maggior successo. All’epoca lo Zecchino competeva, per popolarità, col festival di Sanremo, era uno degli eventi televisivi dell’anno irrinunciabili e di fatto monopolizzava l’attenzione di tutti, piccini e grandi. Le trasmissioni erano ancora in bianco e nero e per i bambini c’era solo la “TV dei ragazzi”.  Le canzoni di quegli anni sono rimaste nella mente dei bambini di allora, oggi adulti, che le canticchiano ancora senza alcun sforzo di memoria Erano anni di grande fermento e speranza, di innocenza e spensieratezza. Forse gli anni migliori in cui essere bambini e poi adolescenti.

Grazie Zecchino!

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