Estate in colonia. Ho 8 anni. Stamattina non si gioca. Bisogna formare il coro per la festa dell’ultimo giorno, quando i genitori tornano a prenderci.
«Come lo Zecchino!» penso, travolto dall’entusiasmo.
Cominciamo a cantare in gruppo, io a squarciagola. La suora ci ferma subito.
«Cantate solo voi da questa parte.» ci dice e indica il gruppo dove sono io.
Riprendiamo a cantare. Io diminuisco l’intensità ma non basta.
Poche note e la suora ci interrompe di nuovo.
«Ora solo voi.»
E’ sempre il mio gruppo quello che indica.
Io canto sempre più piano ma la suora interrompe quasi subito la canzone. E indica ancora una volta il mio gruppo.
La scena si ripete. Alla fine rimaniamo in due. Io tento un inutile playback.
«Vai pure a giocare.» mi sorride la suora.
Mi allontano deluso, mortificato.
Il mio sogno è durato meno di 10 minuti.
Non canterò davanti ai genitori con le mani dietro la schiena muovendo le spalle come i bimbi dello Zecchino che tanto ammiro. Non so come si chiamano, li vedo una volta l’anno attraverso lo schermo in bianco e nero della tv ma mi sembra di conoscerli da sempre, di essere cresciuto insieme a loro.
Un dubbio però mi rimane… Mariele e il Mago Zurlì sono la loro mamma e il loro papà?
Che domanda difficile… Vabbè, andiamo a giocare. Stanno arrivando altri bambini. Anche loro esclusi dal coro…
Un’altra suora ci richiama e ci dice di metterci in fila.
Mentre ci allineiamo, dentro la mia testa inizio a canticchiare “Quarantaquattro gatti”, quasi senza accorgermene.
Mi viene da sussurrarla ma mi fermo. Oggi meglio di no.
Ivan Epicoco
Giornalista radiotelevisivo presso Rai – Radiotelevisione Italiana S.p.A.
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