Di lì a poco più di cento giorni il secolo sarebbe finito e pioveva. Capita spesso a settembre, è un mese fatto così, come un maggio capovolto. Il treno avanzava lento, lentissimo, e il paesaggio appariva distorto per via delle gocce di pioggia sui finestrini. Viaggiare in treno da Ravenna a Bologna è una faccenda impegnativa, da affrontare senza fretta: molte fermate, paesi che galleggiano sulla campagna e la linea di confine tra Romagna ed Emilia. Che non esiste ma che tutti gli emiliano-romagnoli conoscono perfettamente.
Stavo andando a Bologna per un colloquio di lavoro, appuntamento alle dieci. Al Centro di Produzione TV dell’Antoniano.
Non ero mai stato all’Antoniano. Conoscevo lo Zecchino d’Oro, naturalmente, e sapevo di essere in grado di identificare la voce di Topo Gigio in mezzo a mille altre voci. Ma sapevo pure che per quel colloquio sarebbe servito ben altro.
Avrei aspettato qualche minuto davanti a un anonimo ufficio, poi si sarebbe aperta la porta e un grigio responsabile del personale mi avrebbe chiesto di entrare, di sedermi. E avrebbe chiuso la porta.
Credevo che sarebbe andata così.
Ma sbagliavo.
«Oggi cantano i bambini, si svolgono le selezioni per la prossima edizione dello Zecchino. Andiamo nello studio: ti presenterò i tuoi colleghi».
Cominciò in questo modo il mio colloquio di lavoro all’Antoniano, tra calorose strette di mano, caffè offerti e risposte a tutte le domande, anche a quelle non fatte. Avevo visto altri studi televisivi, era il mio lavoro, ma quell’entusiasmo e quella passione viva, contagiosa, erano tutti nuovi per me.
Si trattava della magia dell’Antoniano e l’avrei capito pochi minuti dopo, mentre i bambini cantavano.
Perché i bambini sono magici, lo sanno tutti, e la musica è il miracolo più grande.
Infatti, dopo quasi vent’anni ricordo ancora le canzoni di quell’edizione dello Zecchino d’Oro. E ricordo anche quelle delle edizioni successive. Forse non tutte, ma quasi. E se non è magia questa…
Ecco cos’è l’Antoniano: bambini che cantano.
E non c’è niente di più bello.
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