La storia di Marta Benciolini

La storia di Marta Benciolini

Nel 1993 ero una giovanissima insegnante di Musica in cerca di aiuto e mi venne l’idea di chiedere qualche  consiglio a Mariele Ventre, direttrice di quel coro che mi aveva riempito l’infanzia di melodie, immagini, storie
e che in quel momento – consapevole  di quanto fosse delicato e complesso far cantare dei bambini – mi sembrava un modello di perfezione e bellezza.
 Inizialmente la mia lettera sembrò cadere nel vuoto, ma dopo qualche mese giunse la bella risposta dattilografata di Mariele, con lo stemma colorato del Piccolo Coro, la stessa che si trova nel libro “Lettere da Mariele” a pag. 114.
Mariele mi invitò dunque ad assistere ad una sua lezione. Ero molto, molto curiosa ed un poco emozionata quando entrai nella scuola,
che aveva ancora i banchetti con le seggioline, e il pianoforte nero sula pedana.
 Mariele era già malata, ma io non lo sapevo. Forse adesso mi spiego perchè aveva una ragazza sempre vicina che la affiancava, aiutandola in ogni cosa.
  La prima parte del pomeriggio era dedicata ai bimbi più piccoli, una ventina direi, e allo studio del “Concerto di Primavera”.
Bimbi entrati da pochi mesi, già molto bravi vocalmente ma irrequieti e movimentati come tutti i bambini.
Devo dire che l’approccio di Mariele mi sorprese molto, e non del tutto in positivo. Era tenace e instancabile nell’esigere la massima precisione in ogni passaggio, per nulla scoraggiata dalla stanchezza evidente dei suoi piccoli allievi. Si concentrava su un bambino alla volta come se in quel momento gli altri non esistessero.
Più volte riprese qualche corista  ( Camomilla …) in modo molto diretto ed energico, una vera provocazione per me che avevo studiato pedagogia e non ero abituata a un fare così brusco.
Alla fine della lezione strigliò pure le mamme, perchè alcuni bambini non sapevano bene le parole, e assegnò i compiti (i compiti!!) per il giorno dopo, che consistevano nella memorizzazione dei testi di altre canzoni.
Il secondo gruppo era costituito dai “grandi”, ed il clima della lezione apparve subito completamente diverso. La disciplina era stata acquisita, e i bambini erano  pienamente motivati e coinvolti. Era evidente che fra maestra e allievi, ma anche fra allievi stessi, circolava un affetto sincero, una collaborazione quasi “da adulti” e un grande piacere nel cantare, lo stesso che vedo confermato in tutti voi che avete studiato nel Piccolo Coro e che ne siete così segnati.
  Mariele fu molto gentile con me, mi partecipò molte delle riflessioni che faceva sui bambini, mi chiese molte cose del mio lavoro e prese il mio indirizzo. In seguito mi mandò di tanto in tanto dei regali, musicassette, un libro, una cartolina.
 In seguito ho riflettuto molto su quella che inizialmente avrei definito una pedagogia “dura”, sul coraggio che un’insegnante deve avere nel puntare alto, a volte anche altissimo, sfidando teorie,  luoghi comuni  e sfiorando il limite del “sopportabile” dei suoi allievi.
Io non sono di quelli che vedono nel suo Piccolo Coro il modello perfetto. Credo si possa discutere molto sulla didattica, sulla vocalità, sul repertorio e sui metodi usati nel Piccolo Coro.
Una cosa però è indiscutibile: Lei chiedeva il massimo ai suoi bambini, senza sconti nè concessioni.
Credo che il metodo Mariele sia uno stimolo per tutti noi direttori di Coro, ma al contempo credo che sia irriproducibile, inimitabile. Sono certa che la stessa Sabrina ha giustamente sviluppato il suo, cambiando strada su molti aspetti ( ma sono anche cambiati i tempi, si sa).
Ho qui vicino a me il libro delle sue lettere, dal quale torna fuori questa sua schietta essenzialità, questo fare diretto e spiccio, lo leggo e mi sembra di averla conosciuta da sempre, e invece non l’ho vista che un pomeriggio, com’è strano questo.
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