La storia di Benedetta Scognamillo

La storia di Benedetta Scognamillo

…luce al neon della cucina. La percezione del freddo dietro ai vetri della finestra della mia cameretta. Presenze adulte a ondeggiare da una stanza a un’altra. La televisione in bianco e nero. I colori, nonostante i due toni marcati, a evidenziare una specie di festa. Bambini in fila che muovono la testa a ritmo di musiche serene, allegre, a volte anche un po’ misteriose, musiche che rincorrono parole argentine di suono, d’infanzia.

…così ricordo i miei primi Zecchini d’Oro, il primissimo 45 giri “Torero al pomodoro” da un lato e “Gugù, bambino dell’età della pietra” dall’altro, avevo due anni e no, quello Zecchino nelle immagini regalate dal tubo catodico non lo ricordo, anche se YouTube mi ha restituito almeno l’esibizione di Enrico Zanardi…e poi si salta al ’78 e quello sì, lo vedo ancora con i miei occhi e la fantastica canzoncina “Alibombo”, che siccome avevo una memoria picomirandolesca, bastò-giuro- un ascolto che mezza la mandavo già a mente.

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…ma è stato il 1979, la chiave di volta: 5 anni e, se pur piccina, il mio orologio biologico mi stava segnalando che era periodo di Zecchino. Facevo la prima elementare, sapevo che eravamo nel pieno del mese di Novembre, accendevo la tele a caso,quasi ogni pomeriggio, sperando di trovarlo. E fu un sabato, che arrivai puntuale all’appuntamento: cosa rivedo? Rivedo una bambina con una gonna grigia e i calzettoni e le pantofoline da casa, sdraiata sul tappeto del salotto, sotto un tavolino da fumo, le mani a sorreggere il mento, lo sguardo rivolto allo schermo, ai bambini, ai non-colori, che pure li vedevo nitidi nel loro arcobalenare…e poi, la voce, perpetua, inconfondibile fino ai nostri giorni del Piccolo Coro, e la bambina bionda che catturava la mia attenzione e che avevo ribattezzato, non conoscendone il nome “Caterina”, e poi la Franci, gioiosa, già memorizzata tra le preferite di quel Piccolo, Meraviglioso Coro di cui tanto avrei voluto far parte anche io. Perche? perché era bello, armonioso, il suo canto, la sua unica voce che poi era la voce di una cinquantina di bambini…e quella pifferaia magica dal nome altrettanto melodico, Mariele, ché un nome così ce l’aveva solo lei e no, non la si vedeva molto, ma anche io, cinquenne, sapevo che era lì, la scorgevo negli sguardi ipnotizzati e ridenti dei suoi bambini. Mariele…

E poi, “Un sole tutto mio”, “Mamma folletta”, che mi faceva paura, “San Francisco” (il bimbetto che durante l’esibizione si contorceva le manine mi è rimasto impresso nel ricordo…) e soprattutto “Un bambino”. “Un bambino”, e io sotto al tavolino da fumo con gli occhi pronti al pianto, perché mi faceva venire un nodo in gola, quella storia e quegli angeli colorati che cercano in tutti i modi di placarel Gesù Bambino piangente e strillante e chissà perché quindi, il labbro mi si increspava nella classica smorfia di chi a stento riesce a contenere le lacrime e con grande pena le ricaccia in gola… Mio nonno sarebbe morto la settimana successiva, e io in testa portavo a spasso quella canzoncina. Un paio di mesi dopo, mi feci regalare il 45 giri, ascoltato, eviscerato, consumato alla ricerca del particolare che mi restituisse quel pomeriggio novembrino trascorso sotto un tavolo da fumo.

…ne avrei tanti altri di Zecchini dell’anima da raccontare, ma non posso qui, non ora, non avrebbe senso. Faccio un salto, dal 1979 al 1995, all’ultimo Zecchino mio, quello cantato con gli occhi e la voce dell’infanzia. All’epoca la passione…passione…meglio dire la continua Epifania, perché tale era ogni anno lo Zecchino, nel suo manifestarsi, sempre nuovo e sempre uguale a sempre, dicevo, quell’anno fu l’ultima Epifania. E anche l’ultimo stupore, l’ultima rassicurazione. Perché il cuore va di pari passo con la memoria e senza alcuna fatica, da un anno all’altro, da festa del Papà a festa della Mamma, in un colpo d’occhio riconoscevo i visi dei bimbi del coro e qualche nome di quelli che sapevo…e quel ’95 fu come il titolo di coda di un film.Da allora, non sarei stata più capace di qualcosa che fino a quel momento era stato così naturale… Tre settimane dopo la finale di quello Zecchino, la pifferaia magica dal nome altrettanto magico, lasciò la strada maestra e i suoi bambini per andare via. A ipnotizzare altri bambini, a ipnotizzare i cuori di quanti l’avevano, l’hanno e la amano ancora. E fu un giorno terribile, quel 16 Dicembre 1995, e neanche a farlo apposta, il pomeriggio in cui venni a sapere che Mariele era una stella ero in mezzo a dei bambini. Stavo attraversando la mia “fase cattolica”, ero impegnata in parrocchia in una serie di attività prenatalizie con i bimbi del catechismo e i loro genitori, quando sento una catechista dire ad un’altra signora “Hai sentito? E’ morta Mariele Ventre!”. Ecco, io avevo 21 anni e bambina non ero. Ma come quel pomeriggio di quel Novembre di sedici anni prima, sotto il tavolino da fumo, le labbra si arricciarono in una morsa di dolore, e il nodo che fino a quel momento non avevo, in gola si formò. E allora, sì, lo ricordo, mi allontanai dal gruppo di persone chiassanti, andai verso una finestra della stanza della parrocchia, guardai il buio fuori e poi spostai lo sguardo verso l’alto, a spingere indietro le lacrime. e fui automa, per tutto il pomeriggio…e una volta a casa, siccome vivevo l’Epifania in clandestinità, feci finta di niente, e internet no, non c’era e spulciai quindi il televideo, che mi confermò tutto: Mariele era una stella. …e poi, i tg, e i quotidiani, il giorno dopo…e poi.

Poi è oggi. Oggi ho 43 anni, ho perso qualcosa di quella bambina con la gonna grigia e le pantofoline da casa che amava i suoi dischi dello Zecchino, ma negli anni li ho conservati gelosamente. Ne ho tanti, trovati alle Mostre del Disco, o da amici che li avrebbero buttati via, o nei negozietti dell’usato; per non dire delle vhs che a dire il vero, non guardo da anni, ma ci sono, mi venisse mai in mente di convertirle in un linguaggio più moderno. Quello che non sono riuscita a collezionare, nel mio ricercare l’infanzia in un coro di bambini, sono le Emozioni: quelle le ho smarrite, con la Benedetta bambina.

…continuo a seguire lo Zecchino d’Oro, ogni anno ricerco qualcosa, uno stravolgimento emotivo che ahimé, non trovo più. No. Alcune canzoni come una macchia di colore e calore, me lo restituiscono, penso a “Kiro”, tanto per citarne una. Ma a ognuno il suo tempo, a ognuno il suo battito di cuore, credo che la vita sia fatta per guardare avanti e forse è così che deve essere, perdere qualcosa per trovare altro.

Concludo qui questo ricordo mio dello Zecchino d’Oro, non senza abbracciare Francesca, dono, senz’altro, ci voglio credere, della pifferaia magica e del suo modo di guardarci bambini, negli occhi.

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