La storia di Andrea Bellini

La storia di Andrea Bellini

 

Forse la mia è una storia “fuori dal coro”, o forse è solo una storia all’incontrario, “à rebours” come direbbero i “franzosi”. Forse ne verrà fuori un racconto sghembo, forse incompleto
e la colpa è innanzitutto della mia innata ritrosia a parlare di me e del mio passato, e anche di una memoria fragile che ha steso un velo di nebbia su molti dei ricordi legati alla mia infanzia. Sarà anche che la mia passione per la musica è nata non sulle onde del canto ma sui tasti del pianoforte, ma il mio ricordo di bambino dello Zecchino è alquanto sbiadito, o meglio è un ricordo per frammenti, come le tessere di un puzzle, che sotto la “spinta amichevole” di Francesca, voglio in qualche modo rimettere insieme.
Partirò quindi da qualcosa di certo e definito, da una data, questa per forza di cose indelebile (ed anche molto più recente): 2 Giugno 2010. Festa della Repubblica, si dirà, ma per me ha un valore supplementare; è infatti il giorno della nascita di mio figlio Alessandro. Bambino vivace e chiacchierino ma poco incline alla musica ed al canto, almeno per ora. Però le canzoni dello Zecchino, quelle sì, le ascolta e qualcuna la canta anche, quelle più “mosse” e con un sound più aggressivo, tipo “Crock, Shock, Brock, Rock” o la sempiterna “Popof” oppure “Il caffè della Peppina” (immortale). E, grazie al mio piccolo, anch’io mi riavvicino al mio passato, rivedendo me stesso davanti alla tv in bianco e nero (che ne sapevamo noi nati nel 1965 che esisteva ANCHE il colore?) a guardare quello strano individuo del Mago Zurlì e questi bambini, qualcuno impacciato e tremebondo, qualcun altro invece spigliato e sorridente, che davanti ad un microfono masticavano parole non tutte chiarissime nella mia giovane mente di scolaro delle elementari.
Poi vidi LEI, Mariele! Oh sì, LEI la ricordo bene, anzi benissimo. Intanto il nome, strano, mai sentito prima, ma così fluido, musicale, nonostante la mia terribile “r” che mi attanagliava la gola; lei la ricordo bene, come se la vedessi ora davanti a me…o meglio, di spalle, perché era quello che noi tutti vedevamo in tv, le spalle di Mariele, girata sempre, anzi protesa, verso quel “muro” di vestitini colorati, maschi di un colore femmine di un altro (o forse mi sbaglio? la memoria, la memoria..) tutti intenti a fare da controcanto al bambino o alla bambina di turno davanti al microfono. Mariele! Che forza, con quei gesti rapidi e precisi, quelle braccia che spingevano su e giù a guidare il coro, che mi pareva molto ma molto preciso e intonato e poi a voltarsi, altrettanto rapida e sicura verso il bambino o la bambina, italiano/a o straniero/a che fosse, a guidare anche lui/lei nelle incertezze delle parole, a volte di una lingua sconosciuta, sempre col sorriso dell’entusiasmo, vero, sincero, appassionato. Il mio ricordo di Mariele si ferma qui, su quel sorriso televisivo e sulla sua forza, che contrastava la sua figura minuta, e proprio per quello veniva esaltata.
Poi si cresce, ho subìto la folgorazione di quel talento pazzo di Keith Emerson (maledetto 2016!) e ho inseguito il pianoforte, dimenticandomi (chissà poi se è vero) di quel Piccolo Coro, di cui conservavo però quello strano (per me) piegare la testa da un lato o da un altro, le mani dietro la schiena, il sorriso (di Mariele!) stampato sui volti. L’idea che cantare in coro fosse bello e divertente ormai s’era incanalata nel mio cervello e da lì non ne è più uscita! Infatti, poco più che adolescente, sotto le pressanti spinte della mia insegnante di piano, entrai nel Coro Parrocchiale, in veste di organista prima, e poi, quasi costretto, di “direttore” del coro. “Direttore” è una parola grossa, soprattutto per la mia giovane età e per l’inesperienza in quel ruolo. Sicuramente il fatto di studiare musica mi poneva in una posizione privilegiata, tanto più che a volte mi ritrovavo anch’io tra i banchi dei coristi, in veste di aiutante ora dei bassi ora dei soprani, nel mio “piccolo coro”.
Poi si diventa adulti, la vita mi ha allontanato dalla musica e poi prepotentemente riavvicinato, ho ripreso a studiare, a suonare e ho cominciato ad insegnare. Per un decennio ho lavorato assieme a Fabiola Ricci, la “Sveglia birichina” per intenderci, che abbiamo persino suonato in uno dei nostri concerti! I suoi racconti di 4enne al Festival ci toccavano sempre il cuore, e in lei traspariva sempre il ricordo vivo e presente di quell’esperienza. Lo Zecchino rientrava un’altra volta dalla finestra, un altro pezzo del puzzle si materializzava.
Lo studio, dicevo; sì perché mi sentivo incompleto, non sufficientemente pronto a portare la mia esperienza a bambini ed adulti, ed allora il tanto agognato Dams, e con L’Università un altro incontro importante, col Maestro Marco Fanti, allievo di Mariele e anche lui Direttore di Coro. Con lui ho fatto una bellissima esperienza in qualità di tenore del coro degli studenti, con un paio di concerti che ancora oggi ricordo con piacere. Il gesto rapido ed energico, la precisione unita al piacere del canto: così mi pareva di rivedere la forza e lo spirito di Mariele (che nel frattempo aveva lasciato questo mondo) trasmesso al suo allievo, che in quel momento lo tramandava a noi.
Ecco che il puzzle si ricompone, forse un po’ sghembo, con qualche pezzo mancante, ma il ricordo di “quello” Zecchino, quello di Mariele, è ancora qui, nella mia testa e nel mio cuore
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