La finale del 67° Zecchino d’Oro

La finale del 67° Zecchino d’Oro

Quest’anno ho avuto l’opportunità di assistere alla finale del 67° Zecchino d’Oro direttamente dallo studio televisivo che, fin dalla settima edizione del 1965, accoglie la trasmissione. Pensavo con un po’ di malinconia che sarebbe stato l’ultimo, infatti, dal prossimo anno lo Zecchino d’Oro tornerà alle origini, trasmesso dal cinema (ristrutturato) come nelle primissime edizioni. Ho vissuto lo studio televisivo per tutta l’infanzia, e poi, quando sono diventata mamma, l’ho rivissuto attraverso ii miei figli che cantavano nel coro. Alla fine, però, ciò che definisce davvero quel luogo è che è uno spazio dentro di me, dove le esperienze si radicano, trasformandosi in qualcosa che va oltre il tempo e lo spazio fisico. Anche se, l’ambiente in cui ci si trova ha un effetto diverso sulla musica, e assistere alla manifestazione dallo studio ne amplifica le sensazioni, allarga i pensieri e fa notare particolari che, a prima vista, potrebbero sembrare futili. Ognuno percepisce dettagli diversi a seconda del proprio punto di vista e del proprio ruolo. Io ad esempio, ho notato che il coro era posizionato al centro e non più lateralmente, e le divise dei coristi erano diverse tra loro. Alla prima pausa pubblicitaria, poi, gli hanno dato da bere… piccoli cambiamenti che rendono evidente una nuova realtà. La sonorità del coro appariva meno equilibrata e più vigorosa, con una tonalità che tendeva a essere più decisa e meno sfumata. I solisti delle canzoni avevano spesso lo sguardo rivolto alla telecamera, indipendenti e sicuri, senza essere condizionati dai gesti della direttrice. Un segno di autonomia, ma anche di una certa distanza, una sicurezza che non appartiene a chi calca per la prima volta un simile palcoscenico, infatti la maggior parte degli interpreti prescelti ha seguito lezioni di canto o ha partecipato ad altri concorsi.
Al di là delle posture di coristi e solisti, ho ascoltato con attenzione le canzoni e, con mio grande sollievo, i testi erano ben scanditi, le musiche piacevoli e molto diverse tra loro. Tuttavia, ciò che le accomunava era un messaggio così esplicito e privo di sfumature che non lasciava spazio a interpretazioni, come se i bambini di oggi, così brillanti e veloci nel cogliere, non fossero in grado di arrivarci da soli. Durante la trasmissione sono rimasta profondamente colpita dai bambini che interpretavano le canzoni attraverso i gesti del LIS, dando vita alle melodie in un modo unico e toccante.

Anche quest’anno è stata presente la giuria dei grandi, ma solo Bianca Guaccero sembrava offrire giudizi motivati e realmente pertinenti alle canzoni. Il conduttore nonché direttore artistico, Carlo Conti chiedeva ripetutamente a ciascuno cosa facesse nel tempo libero, come se quella fosse l’unica domanda che riuscisse a rivelare qualcosa di significativo, senza accorgersi che ogni bambino ha molteplici aspetti da condividere, che vanno oltre una risposta scontata. Forse sono io ad essere un po’ puntigliosa, avendo vissuto una televisione di un’epoca diversa, dove il modo di interagire con i bambini sembrava più ricco e sfaccettato. Un tempo, ogni parola e ogni silenzio avevano una loro profondità, e il dialogo non si limitava alle solite domande, ma apriva spazi per scoprire qualcosa di più di ogni piccolo protagonista. Inoltre non si capisce il motivo per cui, durante la presentazione, non siano stati menzionati i nomi degli autori, considerando che sono figure fondamentali per la manifestazione. Il loro contributo è essenziale per la riuscita di ogni edizione, e sarebbe stato giusto riconoscere il loro lavoro. Ma parliamo della cosa più importante: le canzoni. È attraverso di esse che si esprime la vera essenza di ogni edizione, al di là delle dinamiche televisive o delle domande a cui si viene sottoposti. Le canzoni sono il mezzo attraverso cui si raccontano storie, si trasmettono emozioni e si definisce l’identità della manifestazione. È proprio nel loro contenuto e nel modo in cui vengono interpretate che risiede il vero valore del programma. La metà delle canzoni mi sono piaciute, e prima fra tutte Il principe Futù, (scritta da Giulia Luzi e Massimo Zanotti) per l’originalità del testo, della musica e per le interpretazioni così ben scelte dei solisti. L’unico appunto riguarda la parola “principessa” pronunciata con una “e” troppo larga, che stonava un po’ (deformazione corale). Ma al di là di questo, il brano ha saputo distinguersi per freschezza e inventiva. Anche il cambiamento del ritmo era coinvolgente, dando maggior enfasi al racconto. Una canzone che ha spiccato per la sua profondità è Diventare un albero, vincitrice della 67a edizione (scritta da Rebecca Pecoriello, Nicola Marotta, Luca Argentero, Stefano Francioni). A differenza di molti brani con messaggi espliciti, questa composizione si è distinta per la capacità di suggerire, più che dichiarare, il suo significato. Attraverso immagini poetiche e una narrazione delicata, invita a riflettere sul valore del tempo e sul rispetto dei propri ritmi di crescita, evitando di cadere nella tentazione di accelerare ciò che richiede maturazione naturale. La canzone è immediata perché resta in testa fin dal primo ascolto così come la graziosa Per un pezzetto di terra (scritta da Irene Menna e Giuseppe De Rosa) in cui la frase finale  “Cerca la pace dentro di te, senza la pace amore non c’è!”, è azzeccata per grandi e piccini.  Al terzo posto metto Un rospo nel bosco (scritta da Sandro Comini e Andrea Mingardi) una canzone davvero carina. Ha un’aria quasi da cartone animato, con una melodia leggera e giocosa. Il bimbo che la canta è molto spontaneo, il che la rende ancora più autentica. A pari merito metto Coccinella Sfortunella (scritta da Valentina Ambrosio) un brano che ha un’atmosfera piacevole con un testo  simpatico e divertente, ma ciò che colpisce di più è la melodia leggera e giocosa. Il messaggio finale, pur essendo positivo, si poteva intuire anche senza doverlo sottolineare continuamente. La bugia (scritta da Riccardo Capone e Rainer Monaco) fa tenerezza mentre scappa di bocca con uno sbadiglio e con un singhiozzo e sembra proprio di vederla mentre corre corre corre. E poi si scopre la nonna Gianna nel brano Nonna rock (scritta da Carmine Spera e Lodovico Saccol) molto coinvolgente e ben interpretata dalla solista che ha una voce pazzesca anche se l’impostazione molto adulta e matura risulta un po’ troppo “grande” per un contesto come lo Zecchino d’Oro.
Due ritorni storici hanno segnato questa edizione: la sigla di Zum Zum Zum, celebre brano di Canzonissima del 1968, riproposta in una versione riarrangiata e accorciata, e la presenza di Topo Gigio, tornato sul palco dopo un’assenza dal 2017. Sebbene, ahimè , la sua voce non fosse quella inconfondibile del mitico Peppino Mazzullo, il suo ritorno ha comunque regalato un momento di grande emozione e nostalgia. Inoltre ho apprezzato che sia stato dato ampio spazio alle canzoni, senza troppe interruzioni, anche se la presenza del Grande Mago, sempre piacevole, ha aggiunto un tocco di magia e tenerezza allo spettacolo.
Anche se molto coreografico, ho gradito che non ci fossero i coriandoli dorati sulla canzone vincitrice, un elemento che ho sempre considerato un po’ troppo “americanata”.

Sul finale, i Ricchi e Poveri si sono esibiti cantando il Natale degli angeli, in pigiama e ciabatte… peccato! Sarebbe stata un’ottima occasione per Angela di sfoggiare il completo fucsia di piume con cui la imitano alla *Gialappa’s Band*…
In chiusura, mi auguro che gli autori continuino a scrivere, offrendo al futuro dello Zecchino d’Oro canzoni che non solo intrattengano, ma che abbiano il potere di lasciare un segno profondo, toccando il cuore di chi le ascolta e accompagnando i bambini in un percorso di crescita emotiva e culturale (chissà, forse un giorno torneranno anche le canzoni straniere…?) Riguardarsi alcune puntate storiche con Cino Tortorella potrebbe offrire spunti preziosi per capire come trattava i bambini. Questo approccio, seppur adattato ai tempi moderni, potrebbe essere un’ispirazione anche per Carlo Conti, che, pur mantenendo il suo ruolo centrale, potrebbe dare un po’ più di spinta alla conduzione, lasciando spazio alla freschezza e all’autenticità che i bambini sanno portare sul palco. Ciò che rende magico lo Zecchino d’Oro è proprio quella spontaneità unica, che non ha bisogno di essere forzata. Nel frattempo, il Piccolo Coro, sotto la direzione impegnata e appassionata di Sabrina Simoni, celebra 30 anni di lavoro intenso e dedizione, contribuendo a mantenere viva la tradizione e la qualità che contraddistinguono questa manifestazione.
Inoltre è importante ricordare che, alla fine, a vincere è la canzone e che tutti i bambini sono vincitori. Questo è il messaggio fondamentale, quello che, in teoria, dovrebbe prevalere. Tuttavia, nella realtà, a volte questo concetto si scontra con le dinamiche più complesse, come l’impegno eccessivo da parte dei genitori, l’ossessione per la visibilità sui social, e la creazione di profili Facebook dedicati ai bambini, che rischiano di distorcere il vero spirito di questa esperienza.
In conclusione, vale la pena ricordare Padre Caroli, uno dei fondatori dell’Antoniano, che inaugurò la mensa francescana con l’intento di aiutare chi era in difficoltà. La sua idea di mettere al centro l’assistenza ai più bisognosi è ancora oggi il cuore dell’Antoniano. La solidarietà delle mense francescane continua ad essere una priorità, e lo Zecchino d’Oro, con il suo spirito di comunità, contribuisce a questo scopo.

Francesca Bernardi

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