Il 1969 fu l’anno in cui i miei genitori decisero, dopo quattro anni , di frenare la mia smisurata vivacità .
Lanciarsi dal letto a castello con un paracadute improvvisato, legarsi una corda al piede e l’altro capo allo stesso letto per praticare il jumping, usare il divano come una sedia a dondolo … erano per loro segnali preoccupanti.
Soprattutto se il paracadute non si apriva mai, se la corda era sempre troppo lunga e se il divano, al primo ribaltamento non ritornava mai su da solo.
Non so quale fu la loro fonte ispiratrice, ma pensarono che cantare nel Piccolo coro dell’ Antoniano sarebbe stato un buon antidoto.
Cantare canzoni , studiare testi a memoria, seguire regole, socializzare con altri bambini… era la terapia giusta.
Così a quattro anni entrai a far parte del coro, ma non sapevano che almeno cinque o sei di quei bambini con cui avrei socializzato soffrivano della mia stessa sindrome.
In otto anni I miei genitori non sono riusciti a raggiungere il loro obbiettivo, ma io mi sono divertito moltissimo.
Vivere la fanciullezza correndo all’impazzata è come guardare dal finestrino di un treno in corsa, di un treno giapponese intendo.
Solo quando interrompi lo sguardo fisso e ruoti la testa nel senso opposto alla direzione del treno riesci a definire un’immagine nitida.
Credo che sia questo il motivo per cui ho dei frammenti di ricordi, di breve durata.
Per comprendere appieno di cosa ero capace posso citare un ricordo ambientato nell’ atrio del cinema Antoniano.
Lungo una parete c’era un grande specchio e durante una mia corsa quell’atrio era diventato grande il doppio. Correndo verso lo specchio notai che un altro bambino correva come me e mi veniva incontro. Non mi resi conto della somiglianza ma pensai : ‘prima o poi si sposterà ‘.
Inevitabilmente non lo fece e questa cosa non gliel’ho mai perdonata.
Correre dietro ad un pallone di polestirolo nel piccolo ingresso dello studio televisivo, assieme ai miei storici amici, fino a un minuto prima dell’ inizio della trasmissione, e presentarsi puntualmente sudati fradici in mondovisione, e’ il frammento che più mi diverte ricordare.
Quel treno in corsa , per mia fortuna , con gli anni ha decisamente rallentato e altri ricordi riaffiorano guardando quelle bellissime foto scattate dal caro Aldo Salmi, al quale sarò per sempre riconoscente per non aver fatto svanire momenti irripetibili.
Il grande carisma di Mariele , la Presenza costante di Padre Berardo, la pazienza di Liliana, le bellissime canzoni, i viaggi in pullman, le trasmissioni televisive, la sala di incisione col maestro Giordano Bruno Martelli, i miei amici.
Ricordando quegli anni, rileggendo e riascoltando i racconti di chi ha cantato nel piccolo coro di Mariele mi rendo conto di aver ricevuto un grande dono, e la potenza di questo dono è la sua durata.
Poter cantare da adulto assieme agli stessi bambini con i quali sei cresciuto, con lo stesso entusiasmo e la stessa spensieratezza è un dono che va oltre le barriere del tempo, unisce il passato al presente.
È pura magia.
Posso anche aggiungere, infine, di possedere un altro privilegio.
Poter condividere questa magia con una bambina per me speciale.
La bambina che venticinque anni fa è diventata mia moglie.
E di questo Mariele ne è fiera.
Massimo Petrucciani
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