Il cielo sopra Bologna è limpido, in questo pomeriggio di inizio dicembre. Fra fresco, ma non troppo. La levataccia di primo mattino, le ore di treno e l’autobus preso di corsa sembrano non pesare nemmeno sulle nostre spalle, mentre ci avviciniamo mano nella mano all’Antoniano. Gli alberi del viale hanno perso molte delle loro foglie ma il gran numero di persone sul marciapiede trasforma l’autunno inoltrato in una parvenza di primavera.
Facciamo il nostro ingresso infilandoci nel chiacchiericcio delle grandi occasioni e pregustandoci lo spettacolo che verrà. Viola, che per l’occasione ha voluto che le legassi i capelli con un elastico tutt’altro che modesto, si guarda intorno leggermente spaesata: scruta gli altri bambini chiedendosi chi di loro le farà compagnia nelle prossime ore.
I bambini della giuria, chiamati a raccolta, ascoltano le istruzioni emozionati nelle loro camicie bianche: chissà se comprendono fino in fondo il loro ruolo, se sono consapevoli del fatto che col loro voto, oggi, contribuiranno a decretare la canzone vincitrice del sessantunesimo Zecchino d’Oro.
I bambini che, invece, coloreranno la platea all’interno dello studio televisivo, attendono insieme ai genitori che qualcuno dello staff faccia loro varcare la porta a vetri che separa l’accalcato atrio dell’Antoniano dal corridoio che li porterà davanti allo spettacolo.
Mentre nello studio si stanno svolgendo le ultime prove prima della diretta, gli autori delle canzoni arrivano alla spicciolata. Saluti, sorrisi, pacche sulle spalle, abbracci: alcuni si conoscono già da anni, certi si sono visti nelle settimane scorse, altri ancora si presentano per la prima volta aggiungendo il titolo della canzone come se fosse una onorificenza.
Pur nel trambusto e nella confusione di un locale sovraffollato, il clima che si percepisce nel momento in cui si varca la soglia è quello di una grande festa per tutti.
Affido Viola all’allegria degli animatori e vado a scegliermi la poltroncina verde che farà da culla al mio pomeriggio da Peter Pan. Perché lo Zecchino d’Oro, a me, fa questo effetto: ogni anno torno a essere una bambina che si diverte e si emoziona ascoltando canzoni sempre più intense.
Il cinema-teatro dell’Antoniano è pervaso dal profumo dei pop-corn e dal brusio dell’attesa. Da una parte ci sono i genitori dei bambini solisti, emozionati più di loro. A guardarli dalla mia postazione, ho l’impressione che in queste settimane si siano uniti in un’unica grande famiglia.
A due passi da me, le file dei posti riservati agli autori si stanno riempiendo. Di fronte a taluni di loro che io, personalmente, considero mostri sacri della musica per bambini, mi sento piccola piccola e mi affosso ancora di più nella mia poltroncina. Li scruto con quel misto di invidia e ammirazione. Scorgo qualche viso che mi è familiare, magari per averlo visto in foto nelle pagine web dello Zecchino, e qualche altro che ho il piacere di conoscere per davvero. Qualcuno si siede con un panino in mano: probabilmente è arrivato qui di corsa da chissà quale città, magari anche lui si è sobbarcato qualche ora di viaggio e non ha fatto in tempo a pranzare. E allora può andare bene anche un panino imbottito sbocconcellato in prima fila e mandato giù con qualche sorsata di bibita. Altro che pranzo di gala in chissà quale prestigioso ristorante per vip. Perché, udite udite, gli autori delle canzoni dello Zecchino d’Oro, anche quelli più affermati che da anni calcano le scene, i giocolieri di parole e note capaci di offrire ogni anno la linfa principale di tutto quello che è questa manifestazione, sono persone normali. E si accontentano di un panino freddo divorato al volo mentre il maxi schermo si accende e prende a mandare i cartoni animati delle canzoni.
Sono dei veri capolavori. Gli occhi di grandi e piccini sono puntati allo schermo, incantati. Tra bambini che canticchiano i ritornelli e adulti che si scambiano le ultime impressioni, arriva presto il momento della diretta televisiva. In sala si leva un applauso e, per un attimo, tutte le bocche tacciono mentre i cantanti del piccolo coro ci ricordano che “siamo noi lo Zecchino”.
Inizia lo spettacolo. Dal fronte degli autori si percepisce una certa tensione scanzonata, nel momento in cui si levano le palette coi voti riferiti alla loro canzone. Ma è questione di attimi, giusto il tempo di fare uno scatto allo schermo e un rapido conteggio dei punti. È pur sempre una gara. Anche se sembrano più curiosi che competitivi. Certo, il premio fa gola a tutti, ma a guardarli dalla mia poltroncina verde, che ormai ha preso le forme del mio corpo, sembrano più un’unica squadra unita piuttosto che un insieme di individualisti.
Lo spettacolo prosegue senza intoppi. In sala ci sono commenti, battute, risate, ritmi scanditi con le mani, qualche urlo da stadio. L’atmosfera di allegria è coinvolgente, ci si ritrova col sorriso stampato in faccia quasi senza accorgersene. E quando viene annunciata la canzone vincitrice, si esplode in un applauso anche se non era la nostra preferita.
Perché alla fine, qui all’Antoniano, vincono tutti. Vincono gli autori, vincono i bambini solisti, vincono i cantanti del Piccolo Coro, vincono i presentatori, gli organizzatori, tutti i membri dello staff, vincono i genitori, vincono i fratellini, vincono tutti gli spettatori. Abbiamo vinto anche mia figlia e io. Ed è con questa consapevolezza che ci portiamo a casa una valigia di ricordi e sorrisi che ci faranno compagnia fino allo Zecchino d’Oro numero 62.
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