15.34 della mia domenica pomeriggio, sono seduta in una saletta ad aspettare, come durante un lungo viaggio dentro una sala fredda, piena di sedie, giubbotti accatastati, chiacchiere, attesa.
Il viaggio infatti oggi ha inizio: il primo concerto di Zucchetta al quale, ahimè, non potrò assistere.
Poco fa sono riuscita ad ascoltare le prove, seduta in prima fila, sola con il mio maglione a collo alto, dove nascondere la faccia ad ogni smorfia di pianto. Perché le canzoni di Natale hanno questo effetto e le riprese che proiettavano sul palco, ancora di più. Mio figlio mi sgrida sempre perché dice che piango per ogni cosa. Qualche volta mi sento come un vaso di vetro che se non fa debordare tutto ciò che ha dentro, si crepa in mille pezzi. Poi dalla prima fila mi sono immersa nei gesti della direttrice, nell’atmosfera che si respira prima di un’esibizione. Questo è un viaggio a doppia destinazione, per Zucchetta che parte per la prima volta e per me che torno in certi posti nascosti lontani della mia memoria.
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