Ricordo tutte le parole perfettamente

Ricordo tutte le parole perfettamente

Per me lo Zecchino d’Oro è innanzitutto la trentesima edizione, 1987.

Vince “Canzone amica”. Comincia così.

“Vola questo desiderio di avventura,�cresce questa voglia che ho di libertà.
Vola un’idea che non so più fermare
questo è il momento che aspettavo io”.

Erano le parole di un adolescente a una manifestazione (avventura, idee, libertà, pace nel mondo) messe in bocca a un bambino.

È lo Zecchino. Canzoni cantate da bambini che non parlano di loro, da chi non potrebbe scriverle mai.
E dietro ci sono adulti che invece devono scrivere cose per bambini. E quindi, a meno di non impegnarsi in una banalizzazione forzata, finiscono per scrivere cose da grandi.

Ogni tanto sono bellissime, non solo in musica: Il Piccolo Principe o Pinocchio, tanto per fare qualche esempio di cose per piccoli che finiscono per essere magnifiche per i grandi.

Di recente un bel saggio è in questo senso è arrivato da Brunori SAS. Nel suo “Costume da torero” c’è la voce di un bambino che dice – con parole da bambino – ciò che solo un grande rimasto bambino potrebbe dire: “la vita è una merda… ma non finisce qua”.

La vita è una merda lo dice il grande, non finisce qua, misteriosamente, è iscritto nel cuore del bambino.

Nella mia testa c’è poi una canzone dell’anno dopo, 1988, 31esima edizione. Ricordo tutte le parole perfettamente e – lo giuro – ancora oggi mi ritrovo a canticchiarla dal nulla: “Ma lui non sa che io lo so”.

Sono le fantanarrazioni di un nonno che sembra “un lupo di mare” e che “davanti al camino si mette a raccontare” di mirabolanti avventure, certo che il nipotino non potrà che crederci.

In verità non è così. “Ma lui non sa che io lo so che lui non sa nuotare” recita il ritornello.

Mi fa pensare un po’ tristemente ai miei nonni che non ho mai avuto, a mio figlio, che non conoscerà mai mio padre.

E oggi anche a un magnifico film di Tim Burton, The Big Fish. Un padre narratore di palle è sul letto di morte, si svelano le sue balle, tutte le sue mirabolanti storie narrate al figlio che volevano coprire le sue assenze legate a mediocrità infime, tradimenti, etc

Davanti al letto di morte il figlio, ormai adulto, si ritrova a perdonarlo. Anzi nelle sue fandonie quasi ci si ritrova a riconoscere la tensione a un bene, a un’avventura, la tensione a una grandezza come sfida del cuore a quella mediocrità.

Lo Zecchino, voci di bambini che cantano cose scritte e pensate da grandi, apre squarci come questo. W lo Zecchino.

Pino Suriano

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