ABSTRACT
La traduzione dei testi musicali, in particolare quella delle canzoni per l’infanzia, è ancora un ambito poco esplorato dagli studiosi della materia. L’obiettivo di questa tesi è analizzarla, attraverso il confronto di alcune canzoni straniere dello Zecchino d’Oro con la loro versione originale in lingua spagnola. In primo luogo è stata svolta un’analisi teorica dei metodi e delle strategie di traduzione dei testi musicali, con un focus su quelli delle canzoni per l’infanzia e una successiva distinzione tra traduzione e adattamento. In secondo luogo si presenta una panoramica generale sul repertorio delle canzoni per bambini, in particolare quello italiano, approfondendo nel dettaglio la storia e internazionalità dello Zecchino d’Oro, soprattutto per quanto riguarda la partecipazione dell’America Latina. Per concludere, si svolge l’analisi traduttologica dei testi di quattro canzoni straniere della rassegna, al fine di mettere in luce le scelte adottate in fase di adattamento, commentate in qualche caso da chi ha curato l’edizione italiana. I brani italiani sono messi a confronto con i rispettivi testi di partenza in lingua spagnola, ricchi di culturemi tipici del loro paese di provenienza.
INDICE
INTRODUZIONE… 3
1. LA TRADUZIONE DEI TESTI MUSICALI 5
1.1 Metodi e strategie di traduzione 6
1.1.1 La teoria dello Skopos… 7
1.1.2 Il Pentathlon Principle 8
1.1.3 I cinque metodi di Franzon 11
1.1.4 I tre strati della cantabilità 13
1.2 Traduzione o adattamento? 14
1.3 La traduzione nelle canzoni per l’infanzia 16
2. LE CANZONI PER L’INFANZIA 19
2.1 Le canzoni per l’infanzia in Italia 20
2.1.1 Filastrocche e ninna nanne 21
2.1.2 Sigle televisive 22
2.1.3 Disney… 24
2.2 Lo Zecchino d’Oro 26
2.2.1 Storia dello Zecchino d’Oro 28
2.2.2 Le canzoni straniere allo Zecchino d’Oro 30
2.2.3 Lo Zecchino d’Oro e l’Unicef 32
2.2.4 Lo Zecchino d’Oro in America Latina 33
3. ANALISI TRADUTTOLOGICA DEI QUATTRO BRANI SELEZIONATI 35
3.1 José Antonio – Cavallino Peruviano 36
3.2 Maestra Isleña – Caterina Caterina 42
3.3 Festejo de Navidad – Il bambino che vale un Perù 47
3.4 Che, vos…tango mío – Il canto del gauchito 53
CONCLUSIONI 61
BIBLIOGRAFIA… 63
SITOGRAFIA… 65
INTRODUZIONE
L’idea di questa tesi nasce dalla mia passione per lo Zecchino d’Oro, rassegna che ha rappresentato il mio primo approccio alle lingue e alle culture straniere e grazie alla quale da bambina ho potuto esplorare, attraverso le sue canzoni, la musica e le lingue di tutto il mondo.
Data la mia curiosità di confrontare i brani della rassegna con la loro versione originale in lingua spagnola, quattro di questi saranno oggetto di analisi traduttologica con l’obiettivo di capire come si traducono i testi delle canzoni per l’infanzia, in particolare quelli che hanno partecipato allo Zecchino d’Oro.
Al fine di eseguire questa analisi, nel primo capitolo si approfondirà la teoria della traduzione dei testi musicali attraverso una panoramica generale sui metodi e le strategie volte a questo scopo, con un focus sulla Teoria dello Skopos formulata da Hans Josef Vermeer, che ha dato lo spunto a Peter Low per la stesura del Pentathlon Principle, per poi passare all’analisi dei cinque metodi di Johan Franzon e dei tre strati della cantabilità identificati da quest’ultimo. Successivamente, attraverso gli studi di Low, si farà una distinzione tra traduzione, adattamento o addirittura testo di sostituzione, per passare infine ad analizzare in particolare la traduzione dei testi delle canzoni per l’infanzia.
Nel secondo capitolo si presenterà il repertorio italiano delle canzoni per l’infanzia, partendo dalle classiche filastrocche e ninna-nanne, per poi passare alle sigle televisive e alle colonne sonore delle produzioni Disney. Infine, sarà oggetto di approfondimenti lo Zecchino d’Oro, le cui canzoni hanno contribuito ad arricchire il repertorio italiano portandolo ad essere uno dei più vasti al mondo. A tale scopo ho avuto la fortuna di visitare la Fondazione Mariele Ventre e l’Antoniano di Bologna, con incontri che mi hanno permesso di approfondire e confermare alcuni degli aspetti trattati qui. Degna di nota è anche l’ispirazione tratta dagli articoli del sito Testimonianze Musicali e dai colloqui con la sua ideatrice Francesca Bernardi, ex solista dello Zecchino d’Oro e componente del Piccolo Coro dell’Antoniano, ricchi di ricordi di persone dell’ambiente, di addetti ai lavori e appassionati del mondo dell’Antoniano da cui ho tratto tanti spunti di riflessione e approfondimento per questa tesi.
Analizzata la storia della trasmissione e la sua internazionalità, rappresentata dalle canzoni provenienti da tutto il mondo, soffermandoci in particolare sul suo legame con il Sudamerica, nel terzo capitolo si prenderanno in analisi i testi di quattro canzoni straniere della rassegna, mettendoli a confronto con la rispettiva versione in lingua spagnola.
I brani scelti per l’analisi traduttologica sono Cavallino Peruviano, versione italiana di José Antonio di Chabuca Granda, presentata alla 20° edizione; Caterina Caterina, versione italiana di Maestra Isleña di Los Arroyeños (26° edizione); Il bambino che vale un Perù, versione italiana della canzone natalizia Festejo de Navidad (32° edizione); e infine Il canto del gauchito (55° edizione), versione italiana di Che, vos… tango mío di Ezechiel Palmieri, con cui ho avuto l’opportunità di confrontarmi insieme a Mario Gardini, paroliere del testo in italiano. Entrambi mi hanno permesso di chiarire alcuni dubbi circa le scelte di adattamento effettuate e soprattutto di scoprire i segreti del perché di tali scelte.
1. La traduzione dei testi musicali
Secondo l’Enciclopedia Treccani, la musica è un’arte che consiste nell’ideare e produrre successioni strutturate di suoni, regolati a seconda del luogo, dell’epoca e del contesto in cui essa viene creata, con combinazioni d’altezza, frequenza delle vibrazioni del corpo sonoro, di armonia, durata, ritmo e timbro.
Per molti, la musica è il linguaggio universale per eccellenza. Essa non ha quindi una mera funzione artistica, bensì è un’importante forma di comunicazione che rispecchia e interagisce con il contesto culturale e sociale in cui è stata generata e in cui successivamente viene ascoltata. Inoltre, essa permette di comunicare con l’ascoltatore attraverso stimoli sensoriali, sentimenti, ricordi e condivisione di momenti con il prossimo (Filanci 2012). Ed è proprio chi la ascolta a percepire, a seconda della propria sensibilità, le emozioni trasmesse dalla canzone.
Quest’ultima è composta da un codice linguistico e da un codice musicale, che, come sostiene il musicologo Francesco Orlando, si influenzano costantemente a vicenda (Gorlée 2005: 6). La canzone, essendo interpretata oralmente, trasmette il suo messaggio simultaneamente alla sua esecuzione. Questo comporta che la traduzione dei testi musicali sia considerevolmente diversa da qualsiasi altra traduzione interlinguistica, perché dato che in una canzone convivono, oltre a un codice linguistico, anche un codice musicale e alcuni elementi della poesia come rime e sillabe, si tratta di un tipo di traduzione subordinata.
Come sostiene la docente di traduzione Lucile Desblanche, tradurre i testi musicali significa renderli accessibili, nonché creare modi per accedere al loro linguaggio, per capire l’altro, per imparare (2015). Ciononostante, fino a poco tempo fa la traduzione di canzoni non ha attirato molto l’attenzione nell’ambito degli studi sulla traduzione: una ragione potrebbe essere che l’identità professionale di coloro che traducono canzoni non è chiara. Infatti le traduzioni di canzoni vengono spesso realizzate da professionisti diversi dal traduttore, come per esempio parolieri, cantanti e altri specialisti del settore. Di fatto, per un buon risultato, è necessario avere competenze in ambito musicale piuttosto che linguistico, per essere in grado di cambiare totalmente il testo o apportare modifiche alla musica (Bani 2017). Inoltre non bisogna dimenticare i fan, che condividono il significato dei testi delle canzoni straniere pubblicando o scambiando le proprie traduzioni attraverso internet (Franzon 2008:374).
Un altro motivo per cui spesso non si approfondisce la traduzione dei testi musicali consiste nelle difficoltà metodologiche: infatti, questo tipo di traduzione è una sfida per il traduttore, perché deve sottostare a molteplici vincoli imposti sia dal contesto di arrivo che dalla musica originale. Il traduttore deve essere quindi in grado di elaborare un testo cercando di rispettare quest’ultima, al fine di renderlo cantabile. Deve essere inoltre madrelingua, o comunque abile nel manipolare la lingua di arrivo, immergendosi nelle canzoni addirittura canticchiandole, per testare la loro effettiva cantabilità. È necessario che egli comprenda la funzione di quel brano, sia essa educativa, sociale, espressiva o di puro svago, per poi ricrearla e comunicarla al pubblico di destinazione, non trascurando i fattori culturali, estetici, socio- economici o ideologici del contesto di arrivo (Low 2003: 98).
D’altronde, non tutte le canzoni si traducono utilizzando gli stessi metodi e strategie, che saranno analizzati nei paragrafi successivi.
1.1 Metodi e Strategie di traduzione
Secondo Susam-Sarajeva gli aspetti che condizionano la strategia di commercializzazione dei prodotti musicali possono variare a seconda di diversi fattori, come il pubblico a cui è destinato, il mezzo di trasmissione, il genere musicale e vari fattori sociali, storici, ideologici ed economici, che hanno tutti un peso sulle decisioni che deve prendere il traduttore (2008: 194). Tenendo in considerazione questi fattori, il traduttore deve quindi scegliere se orientare il testo di arrivo verso la cultura originale (traduzione estraniante) o verso la cultura di arrivo (strategia addomesticante) (Venuti 1993).
Ad ogni modo, la traduzione non è un’operazione unicamente linguistica. Essendo le canzoni una combinazione tra parole e musica, fanno parte di “due sistemi particolarmente elaborati di segni puramente uditivi e temporanei” (Jakobson 1971: 701), e il traduttore dunque dovrebbe prendere in considerazione anche la melodia, dato che ogni canzone ha anche la musica, che costituisce il messaggio non verbale.
A volte accade che gli stranieri che non conoscono la lingua riescano comunque a “capire” la canzone, questo è perché, anche se hanno perso il contenuto denotativo, hanno comunque ricevuto il messaggio della musica, perché l’hanno ascoltata.
Questo accade più nei casi di una traduzione musicocentrica, dove il messaggio musicale è di primaria importanza, piuttosto che nelle canzoni logocentriche, che hanno maggiori difficoltà a oltrepassare le barriere linguistiche. Di conseguenza, il consiglio di Low (2003: 187) è quello di scegliere se privilegiare il testo rispetto alla musica adottando un approccio logocentrico, o se privilegiare la musica rispetto al testo adottando un approccio musicocentrico.
Low consiglia anche di identificare le parti principali del testo della canzone: anche se di solito quella più importante è il ritornello, è probabile che in alcune canzoni l’inizio o la fine lo siano di più. È necessario pertanto lavorare prima su questi punti, poiché è essenziale che essi siano cantabili. Occorre anche chiedersi quali delle caratteristiche della canzone originale la rendono degna di essere tradotta, per poi cercare di ridurre al minimo la loro perdita (Low 2003: 98-99). Tuttavia, non bisogna applicare metodi rigidi come far prevalere la forma sul contenuto, o mantenere sempre le rime o le stesse figure retoriche ecc., perché questo tipo di restrizioni fanno paragonare la traduzione musicale a una “camicia di forza”. Infatti, essere meno rigidi su un certo aspetto può prevenire delle perdite di resa altrove. L’importante, secondo Low (2008: 5-6), è il “punteggio” complessivo (cfr. 1.1.2).
Nonostante per la traduzione musicale non ci siano manuali specifici contenenti metodi o strategie per ottenere una buona traduzione, alcuni studiosi hanno comunque scritto degli articoli sull’argomento, per guidare i traduttori nel loro compito attraverso delle linee guida principali.
1.1.1 La Teoria dello Skopos
“A translational action is governed by its purpose” (Vermeer 1984: 85).
La Teoria dello Skopos è una teoria funzionalista generale ma iperculturale, formulata dal linguista tedesco Hans J. Vermeer.
Secondo Vermeer è importante porre attenzione all’obiettivo che ha il testo di arrivo, al suo skopos, per determinare i metodi e le strategie di traduzione da scegliere per ottenere un lavoro finale omogeneo e che funzioni nel contesto di destinazione (1978: 100).
Lo skopos non viene infatti determinato solo ed esclusivamente dal testo di partenza, questa teoria infatti libera il testo di arrivo rendendolo indipendente dal primo. Sono i futuri ascoltatori e gli elementi culturali, sociali e musicali di appartenenza a determinarlo in fase di pianificazione e commissione, momenti in cui lo skopos dev’essere ben chiaro per il traduttore.
Il primo skopos della traduzione delle canzoni è la cantabilità, che certamente è un obiettivo molto complesso da raggiungere, perché il traduttore si trova davanti ai vincoli imposti dalla base musicale preesistente. L’effetto complessivo della canzone dev’essere lo stesso percepito dal pubblico della lingua di partenza.
Tuttavia, essendo un testo interculturale, potrebbe assumere un significato socio- linguistico differente in un diverso contesto socio-culturale.
La teoria dello Skopos è stata di ispirazione per Low, quella che l’ha portato a elaborare il Pentathlon Principle, di cui si tratterà nel paragrafo successivo.
1.1.2 Il Pentathlon Principle
Partendo dal concetto di Skopos, Low ha formulato il il Pentathlon Principle, una tecnica pratica in cui il traduttore viene paragonato a un pentatleta, perché anche lui deve superare cinque prove che corrispondono ai cinque criteri di questo principio.
Ciascuna di queste prove ha una sorta di punteggio basato sulle proprie caratteristiche: dunque il traduttore, così come il pentatleta, può scegliere di eccellere in una disciplina piuttosto che in altre, sebbene bilanciare questi criteri è un compito parecchio difficile, dato che essi sono tutti importanti e spesso in conflitto tra loro.
Secondo Low, oltre al bilanciamento, il traduttore deve impiegare un’estrema flessibilità, che è l’elemento fondamentale per trovare il giusto compromesso.
Sono questi elementi a permettere al traduttore di fare la migliore scelta strategica o pratica, per ottenere il miglior punteggio finale complessivo (2005: 191-192).
In particolare, i cinque criteri del Pentathlon Principle sono: la cantabilità, il senso, la naturalezza, il ritmo e la rima. Vediamoli in dettaglio.
1. Cantabilità (singability)
La cantabilità è una conseguenza diretta dello Skopos, dato che il committente della canzone richiede un testo cantabile, per questo si tratta di un criterio che dev’essere al primo posto.
È inoltre fondamentale per la riuscita della traduzione musicale stessa, che richiede “performability”, ovvero deve funzionare come un testo orale eseguito alla velocità del canto, perché al contrario di quanto accade per le traduzioni scritte, l’ascoltatore in questo caso non può fermarsi a rileggere (2005: 192).
Per raggiungere la cantabilità è necessario cercare di dare la stessa enfasi alle parole posizionandole nello stesso punto in cui si trovano nel testo di partenza, altrimenti si potrebbe andare incontro a una perdita di significato del testo.
2. Senso (sense)
A volte non è facile mantenere il significato del testo originale: mentre nei testi informativi l’accuratezza semantica è di fondamentale importanza per la riuscita della traduzione, nel caso delle canzoni a volte è necessario apportare dei cambiamenti e manipolare lievemente il senso del brano (2005: 194) per assecondare la necessità di mantenere il numero di sillabe il più possibile invariato.
Pertanto, Low consiglia di essere flessibili. Il traduttore dunque può fare uso di sinonimi, specificare o generalizzare, oppure spostare qualche parola in un altro punto della canzone, tutto a condizione che essa funzioni in maniera simile in quello stesso contesto.
3. Naturalezza (naturalness)
Il criterio della naturalezza è un dovere del traduttore verso i destinatari della canzone, il pubblico. È un principio fondamentale, e il traduttore deve fare un uso naturale della lingua di arrivo, altrimenti la traduzione potrebbe risultare ridicola o bizzarra.
Per raggiungere la naturalezza, il traduttore deve tenere conto del registro linguistico e dell’ordine delle parole. Gli arcaismi sono fortemente sconsigliati e vanno evitati elementi di difficile comprensione, che richiederebbero uno sforzo superfluo da parte del pubblico (2005: 195).
Infatti, essendo la canzone un testo orale, è necessario comunicare con immediatezza e in modo efficace il suo messaggio, tenendo conto delle esigenze del pubblico.
4. Ritmo (rhytm)
Ogni brano ha un suo ritmo, che indica come va cantato il testo in quella determinata canzone. Per questo, è auspicabile lasciare invariata la musica, rispettando l’idea originale del compositore.
A parere di molti esperti del settore si dovrebbe lasciare intatto il numero delle sillabe, perché la prosodia musicale – parte della linguistica che studia il ritmo, l’accentazione e l’intonazione –, richiede che esso sia lo stesso dei testi originali.
Tuttavia, Low ritiene che questo pensiero sia troppo rigido, nonché un metodo impreciso per misurare il ritmo. Egli consiglia di prestare attenzione piuttosto alla lunghezza delle note e delle vocali, senza dimenticare le consonanti e le pause (Low 2005: 196).
Essendo la flessibilità uno dei fili conduttori del Pentathlon Principle, per evitare una resa innaturale è possibile aggiungere o sottrarre delle sillabe. Tuttavia è importante non esagerare, infatti quest’azione è possibile solo in certi punti del brano: la posizione migliore in cui aggiungere una sillaba è durante un melisma, ovvero un gruppo di note di passaggio che servono a collegare due note reali della melodia, e la posizione migliore in cui sottrarla è durante la ripetizione di una nota.
5. Rima (rhyme)
Molti traduttori tendono a conservare, consciamente o inconsciamente, tutte le rime del testo. Secondo Low, è un errore invece dare troppo rilievo alle rime nelle canzoni: poiché la rima influisce sulla struttura del verso, questa pratica potrebbe portare alla creazione di un testo di arrivo inutilizzabile (2005: 198).
D’altro canto, alcuni professionisti ignorano del tutto le rime e anche questo è sbagliato. Anche se questa azione non dovrebbe portare a gravi perdite nel testo, comporta comunque la trascuratezza di uno dei cinque criteri del Pentathlon.
Secondo il principio, dunque, per un buon esito finale il traduttore dovrebbe individuare le rime più importanti per poi riprodurle nel testo di destinazione, tenendo bene a mente che esse non devono essere per forza perfette e che non è sempre possibile lasciarle nella stessa posizione in cui si trovavano nel testo di partenza.
1.1.3 I cinque metodi di Franzon
Un’altra teoria formulata per la traduzione dei testi musicali è quella di Franzon, che definisce la canzone come un pezzo di musica e testo, in cui uno è stato adattato all’altro o viceversa, in vista di una performance canora (2008: 376).
Partendo da quest’ultima, per l’autore è importante chiedersi se lo scopo di questa traduzione è di essere cantabile o se serve semplicemente a far comprendere il significato del testo. Se la canzone dev’essere cantata, la sua realizzazione finale avviene tramite un’esecuzione canora, dunque la traduzione di una canzone è ottimale solo se permette al testo, alla musica e alla performance di partenza di essere riprodotti in una lingua di arrivo, diventando così una seconda versione del brano originale (ibid.).
Partendo da questo presupposto, Franzon (2008: 373) propone cinque metodi per tradurre una canzone:
1. Lasciare la canzone nella lingua originale
2. Tradurre il testo senza prendere in considerazione la musica
3. Scrivere un nuovo testo per la musica originale
4. Tradurre il testo e adattare la musica di conseguenza
5. Adattare la traduzione alla musica originale.
Se il traduttore decide di tradurre il testo, può scegliere se dare la priorità alle parole (2° opzione) o alla musica (3° opzione) o se essere fedeli a entrambe per la successiva performance (opzioni 4° e 5°). Tuttavia, queste distinzioni sono tali solo nella teoria, poiché nella pratica è possibile scegliere se dare la priorità a un solo criterio o se combinarli tra loro.
Vediamoli ora nel particolare:
1. Lasciare la canzone nella lingua originale
Spesso questa decisione avviene al momento della commissione, in cui si deve scegliere se presentare la canzone nella sua versione originale o tradurla.
Questa prima opzione può accadere quando si vuole mantenere l’autenticità del testo o, nei casi dei musical, quando il testo non è così rilevante per la narrazione.
2. Tradurre il testo senza prendere in considerazione la musica
In questo caso il traduttore tradurrà il testo focalizzandosi sul suo senso. Questo metodo viene scelto soprattutto nei casi in cui gli ascoltatori sono già a conoscenza della versione originale della canzone, dunque gli elementi poetici e musicali verranno mantenuti ma non tradotti. Un esempio tipico è quello dei “fan-sub”, i sottotitoli tradotti dai fan per divertimento.
3. Scrivere un nuovo testo per la musica originale
Questa opzione si preferisce quando la musica è più importante del testo. Non si tratta di una traduzione in senso linguistico, ma di un adattamento, perché il testo d’arrivo potrebbe contenere solo una parola, una frase, un’immagine o una figura retorica del testo di partenza (che può essere preso a modello). Anche il testo di partenza e la performance canora possono influenzare il traduttore nella produzione del nuovo testo. Tuttavia, il testo di arrivo può essere considerato una traduzione nella misura in cui permetterà alla canzone come artefatto culturale di attraversare i confini linguistici.
4. Tradurre il testo e adattare la musica di conseguenza
Quando il testo è ritenuto più importante della musica, questa può essere modificata per esempio creando melismi, aggiungendo o togliendo note, per adattarla al testo.
Spesso è impossibile ottenere una canzone cantabile facendo una traduzione letterale del testo, ma a volte ci si riesce grazie alle modifiche apportate alla melodia. Ovviamente, la decisione di applicare questo procedimento dipende dal committente.
5. Adattare la traduzione alla musica originale
Si sceglie questo metodo quando non è possibile cambiare la musica, quando deve mantenersi quella della canzone originale. In questi casi è necessario mantenere anche il significato del testo di origine, pertanto il traduttore deve adattare la resa verbale, parafrasando il testo in modo che il significato sia il più possibile vicino a quello del testo di partenza. Di solito, più lunghi sono i versi, più facile risulta al traduttore adattarsi alla sintassi, pur cambiando leggermente il significato.
Infine è da tenere in considerazione che, anche se tutti questi metodi possono essere d’aiuto per il traduttore, le decisioni da prendere dipenderanno sempre dalle disposizioni del cliente e dai criteri adottati dal traduttore stesso.
1.1.4 I tre strati della cantabilità
Secondo Franzon il termine “cantabilità” è ambiguo: non significa solo che un testo è facile da cantare, ma anche che ha le caratteristiche adatte per raggiungere il suo skopos finale, ovvero essere cantato. Ma quale elemento fa si che il testo possa trasmettere il suo significato e il suo messaggio attraverso la musica? Secondo Franzon questo è possibile solo se si riesce a raggiungere l’unità tra il testo e la musica (2008: 373-375).
Essendo lo scopo principale della traduzione musicale quello di essere cantabile, ci sono alcuni aspetti dell’adattamento tra la musica e il testo che richiedono attenzione e che portano a fare delle scelte.
A tale riguardo, Franzon prende come punto di partenza le tre proprietà della canzone, ovvero il testo, l’interpretazione e la musica, e le tre proprietà di quest’ultima, ossia la melodia, l’armonia e il senso musicale, per poi fare un’ulteriore distinzione.
Così egli distingue tre strati dell’unità musico-verbale, corrispondenti alle tre funzioni musicali: quella prosodica, quella poetica e quella semantico-riflessiva (2008: 389-390).
1° strato: corrispondenza prosodica
La corrispondenza prosodica si avvale degli elementi della prosodia: il ritmo, l’accento e l’intonazione, fenomeni della lingua parlata che appaiono nella canzone in maniera stilizzata. È necessario garantire che sia le vocali che le consonanti siano abbastanza facili da cantare, nonché che il testo a cui è abbinata la composizione sia comprensibile e che contenga suoni naturali.
2° strato: corrispondenza poetica
La corrispondenza poetica ha a che fare con la struttura armonica del brano musicale, che dev’essere accompagnata da un testo che attiri l’attenzione del pubblico di destinazione e che raggiunga effetti poetici. È composta da varietà melodiche abbinate e giustapposte e da progressioni di accordi maggiori e minori, e si basa su elementi come la rima, la segmentazione in frasi-versi e strofe, i parallelismi, i contrasti e la posizione delle parole chiave.
3° strato: corrispondenza semantico-riflessiva
Per la corrispondenza semantico-riflessiva, la musica dev’essere accompagnata da un testo che sia in grado di riflettere o spiegare ciò che la musica “dice”. La si può individuare nei casi di musica applicata, una rappresentazione musicale delle parole nel testo, in cui c’è la convinzione che un testo allegro dovrebbe essere accompagnato da una melodia gioiosa, quindi in situazioni in cui le parole riflettono un movimento musicale e ciò che esso esprime.
Gli elementi su cui si basa questa corrispondenza sono: la narrazione, il carattere testuale, l’espressione musicale, la musica applicata e la metafora. In realtà il requisito più importante tra i tre è la corrispondenza prosodica, perché in sua assenza il testo potrebbe risultare non cantabile, invece, la necessità di una corrispondenza poetica o semantico-riflessiva varia a seconda delle particolari caratteristiche di una determinata canzone (ibid: 376; 391).
1.2 Traduzione o adattamento?
Quando la musica attraversa i confini linguistici e viene cantata in una lingua diversa da quella originale, mantenendo però la stessa musica, spesso può portare a pensare erroneamente che il testo sia equivalente all’originale, ovvero una sua traduzione. In realtà, la maggior parte delle volte le parole di quel brano potrebbero essere invece un adattamento del testo di partenza, oppure un testo di sostituzione.
Infatti nella traduzione musicale è comune trovarsi a fare dei compromessi, senza di essi le traduzioni non risulterebbero cantabili. È per questo motivo che Low (2013:
230) trova sensato estendere il termine “traduzione” anche a testi di arrivo che si prendono delle libertà rispetto al testo di partenza, pur rimanendo comunque fedeli. Esiste però secondo l’autore un punto in cui l’adattamento cessa di essere una traduzione, ed essa è tale purché la sua funzione principale venga conservata. Sarà dunque una traduzione quel testo in cui c’è un ampio trasferimento di materiale del testo di partenza, mantenendo un’elevata fedeltà semantica sopratutto nelle sue caratteristiche principali (ibid: 231).
D’altro canto, non possono considerarsi traduzioni i testi con scarsa fedeltà semantica, in cui ci sono aggiunte, omissioni o altre deviazioni non necessarie rispetto al testo originale: in quei casi si tratta di un “adattamento”.
La pratica dell’adattamento ha due caratteristiche principali: attingere a un testo d’origine e compiere maggiori deviazioni rispetto a quelle che sarebbero state prodotte da una traduzione. Il professionista che compie un adattamento modifica di sua iniziativa un testo per creare nuovi significati che non erano presenti nell’originale. Questo accade spesso perché i contesti culturali sono differenti, per questo è probabile che vengano sostituiti nomi, figure retoriche, persino la lunghezza del testo potrebbe subire modifiche.
I professionisti hanno opinioni diverse sul fatto di includere l’adattamento tra i tipi di traduzione o se considerarlo come un modo completamente diverso di trasmettere un testo di partenza. C’è chi limita la parola traduzione a un testo di arrivo molto simile a quello di partenza, mentre c’è chi lo vede come un termine usato in generale per tutti i tipi di trasferimento verbale, anche parziale.
Secondo alcuni esperti l’adattamento è una “traduzione libera”, mentre Susam- Sarajeva (2008: 189) sostiene che in alcuni generi musicali è quasi sempre impossibile individuare il punto esatto in cui un testo cessa di essere una traduzione e diventa un adattamento.
Ad ogni modo, nell’ambito della traduzione musicale non è sufficiente fare una distinzione tra traduzione e adattamento, perché scrivere un nuovo testo sulla musica preesistente non è né tradurre, né adattare. In questo caso, quando i testi vengono scritti da parolieri che non conoscono la lingua di partenza, si parla di “testo di sostituzione”, che non ha nessuna correlazione semantica con il testo originale. Low (2013:238) sostiene che questa pratica non dovrebbe essere considerata come una traduzione, perché in questi casi il testo risultante, non ha nessuna correlazione e non è derivato dal testo originale o dalla mente che lo ha creato.
1.3 La traduzione nelle canzoni per l’infanzia
Nella fase di traduzione di una canzone rivolta a un pubblico infantile, è necessario mettersi nei panni di un bambino e cercare di vedere l’opera finale attraverso i loro occhi. Questo è uno dei motivi per cui tradurre brani per questo tipo di pubblico comporta affrontare vincoli e sfide specifiche durante il percorso, che derivano in parte dall’opera originale ma per la maggior parte dalle esigenze e dal profilo del pubblico ricevente.
Che si tratti di una semplice canzone, della colonna sonora di un film o di un cartone animato, così come di filastrocche della tradizione popolare, ci sono delle linee guida di cui bisogna tenere conto al momento della traduzione.
Lorena Brancucci, paroliera e adattatrice delle canzoni dei film Disney, ritiene che, nonostante oggi i bambini inizino ad approcciarsi già in tenera età alle lingue straniere imparandole a scuola o attraverso contenuti multimediali online o in televisione, sia ancora più che fondamentale tradurre le canzoni destinate a loro, perché esse sono un efficace mezzo di comunicazione attraverso cui gli si trasmette un messaggio che rimarrà anche impresso, soprattutto se si divertono (Rosignoli 2014).
Mario Gardini, paroliere di quasi venti canzoni dello Zecchino d’Oro, ha spiegato durante un incontro privato che è necessario parlare ai bambini in modo chiaro e semplice, con immagini piuttosto che con discorsi logici, cercando di creare una sorta di film, in modo che i bambini possano immaginare le parole del brano. Gardini ritiene inoltre necessario dire loro cose semplici ma intelligenti al tempo stesso, al fine di trasmettere loro dei messaggi.
Certamente chi scrive questi testi deve tenere conto che le canzoni saranno principalmente indirizzate ai bambini, quindi a parere di Brancucci bisognerà imitare il loro linguaggio quotidiano, ed evitare parole difficili da comprendere e da pronunciare. Infatti è fondamentale agevolare la cantabilità del testo, considerando anche il fatto che spesso il solista e i cori sono composti da giovanissimi. Vanno trovati i giochi di parole o le battute che possano rendere al meglio quanto espresso nel testo di partenza, prendendo anche in considerazione le ripetizioni e l’aggettivazione (Rosignoli 2014).
Altri elementi linguistici tipici dei brani rivolti ai più piccoli sono le idiosincrasie, in cui la lingua viene manipolata in modo giocoso. I bambini amano queste distorsioni, che possono anche aiutarli a capire inconsciamente come funziona la loro lingua, perché li portano a comprendere la forma corretta mostrandogli quella sbagliata sotto forma di gioco (Tortoriello 2006: 57).
Secondo Brancucci però non si deve mai sfociare nel ridicolo o nel banale, perché nonostante siano indirizzate a un pubblico di bambini, alcune canzoni contengono dei messaggi importanti che devono arrivare al cuore delle persone di ogni età. Questi significati provenienti dalla versione originale del testo devono essere mantenuti anche nel testo di arrivo. È chiaro pertanto, che quando si traduce tra due lingue molto diverse non è una buona scelta quella di fare una traduzione letterale (Rosignoli 2014).
In generale, l’approccio più consigliato è quello di fare un editing del brano originale, rielaborandolo per adattarlo alla lingua di arrivo e per la fascia d’età del pubblico, cercando inoltre di conservare il ritmo e la rima, che nel caso di un pubblico infantile è molto importante dato che contribuiscono a rendere armonioso il brano, nonché indimenticabile.
2. Le canzoni per l’infanzia
Le canzoni per bambini nascono a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, quando si iniziò a considerarli come tali e non come “piccoli uomini”. Da quel momento in poi si comprese l’importanza di avere brani “a misura di bambino”, pertanto i parolieri, i compositori e gli altri esperti del settore (a volte anche affiancati da educatori) devono attenersi ad alcuni vincoli e fare attenzione a particolari elementi per far sì che avvenga il risultato desiderato (Visioli 2017: 13).
Tuttavia, il fatto che questi brani siano indirizzati ai bambini non deve implicare una loro minore importanza rispetto a quelli per adulti. Come sostiene Paolo Prato, docente e musicologo, fino ad oggi le canzoni per l’infanzia hanno rappresentato il tipo di tradizione orale più resistente, perché a prescindere dal ceto sociale e altri fattori esse vengono imparate da piccoli per poi essere tramandate di padre in figlio (1997: 155). È per questo che sono estremamente importanti: gli studiosi affermano che è auspicabile che un bambino viva in un ambiente musicale ancora prima di venire al mondo, per poi portare avanti questo processo in famiglia, anche solamente attraverso l’ascolto, e in seguito nell’ambiente scolastico, dove la musica può essere utilizzata per imparare nuove cose, oppure come terapia, per le recite e il gioco (Pereira e Pederiva 2014: 1). Infatti la musica è un potente mezzo a livello educativo, creativo, psicologico, espressivo e linguistico.
Tra le canzoni per l’infanzia non deve mancare un repertorio internazionale, che permette al bambino di conoscere nuovi suoni, ritmi e melodie importanti per il suo sviluppo musicale (ibid: 2). Nelle scuole e in altri contesti sociali la musica è anche un metodo efficace per aiutare i bambini arrivati da altri paesi a integrarsi, e a relazionarsi con gli altri e sarà di grande supporto emotivo in questo processo (Howell 2010: 1). Questo può avvenire soprattutto attraverso il canto corale, che per i piccoli è un eccellente strumento educativo che gli permette, mediante le canzoni destinate a loro, di ascoltarsi, esprimersi, entrare in relazione con lo spazio e con il tempo, di agire al momento giusto sperimentando delle esperienze condivise con i propri coetanei (Visioli 2017: 15; 24).
2.1 Le canzoni per l’infanzia in Italia
Fino a circa un secolo fa, in Italia le canzoni per l’infanzia venivano rielaborate dal patrimonio folkloristico che si tramandava di generazione in generazione. Successivamente nacquero delle canzoni scritte appositamente per il pubblico infantile, differenziandosi da quelle dedicate agli adulti. Numerosi celebri artisti del panorama musicale italiano che solitamente si occupavano di musica “per adulti” si sono cimentati nella produzione di brani per i più piccoli. Un esempio è Sergio Endrigo, che nel 1974 che in collaborazione con Gianni Rodari e il pianista argentino Luis Bacalov ha dato vita a Ci vuole un fiore, una delle sue canzoni più famose. Si ricorda anche La tartaruga, prodotta nel 1975 da Bruno Lauzi con l’aiuto del maestro Pippo Caruso. Un altro cantautore che ha dedicato molte delle canzoni del suo repertorio ai bambini è Edoardo Bennato, che nel 1977 ha inciso addirittura un album ispirato interamente a Pinocchio, Burattino senza fili, contenente il grande successo Il gatto e la volpe. Il cantautore riprende nelle sue canzoni anche le vicende di Peter Pan. Anche Angelo Branduardi, seguendo uno stile fantasy-medioevale quasi fiabesco ha scritto delle canzoni che narrano fiabe e delle filastrocche, come La Luna (1975) e Alla fiera dell’Est (1976) (Prato 1997: 153).
Queste canzoni possono essere considerate la prova che se ai bambini vengono destinate delle vere e proprie opere di poesia piuttosto che meri prodotti commerciali, i risultati sono nettamente migliori, tanto da essere gradite anche dagli adulti (ibid: 152).
Tuttavia, il repertorio della musica per l’infanzia non manca di numerosi casi di prodotti commerciali che sono rimasti nei cuori delle persone anche dopo decine e decine di anni. Un esempio è la canzone Piange il telefono (1975) di Domenico Modugno, brano che accompagna e narra le vicende dell’omonimo film di cui lui stesso è protagonista. Hanno spopolato nelle classifiche dell’epoca anche canzoni come Sbirulino (1978) interpretata da Sandra Mondaini, Mi scappa la pipì papà (1979) di Pippo Franco, il grande successo Il ballo del qua qua (1981) cantata e ballata da Romina Power e Carletto (1983) cantata da Corrado. Degne di nota nel repertorio musicale italiano per bambini sono le canzoni del Quartetto Cetra, interpreti della famosissima Nella vecchia fattoria, ripresa da una vecchia ballata irlandese Old Mac Donald Had a Farm. Questo complesso musicale, a partire dagli anni quaranta, dedicò numerosi brani al pubblico infantile (ibid: 154-155).
Oggi la musica per bambini è in pericolo, perché viene spesso “contaminata” da musica non indirizzata a loro. In televisione e più recentemente anche sui social media vengono proposti dei talent show in cui vengono messe in primo piano le doti canore del bambino, mettendolo in competizione con altri coetanei, tuttavia le canzoni per la maggior parte non sono a misura di bambino, sia dal punto di vista testuale che da quello musicale, per il semplice motivo che le canzoni per adulti non hanno un registro vocale adatto ad essere cantato dai bambini. Secondo Visioli, questi talent show non promuovono la crescita naturale dei bambini, sottraendo loro l’infanzia e il diritto a una musica tutta loro (2017: 6).
Il caso contrario è rappresentato invece dallo Zecchino d’Oro, rassegna internazionale di musica per l’infanzia di cui si parlerà nei paragrafi successivi. Cino Tortorella, storico presentatore e ideatore della trasmissione, ci teneva spesso a ribadire nel corso delle varie edizioni che lo Zecchino d’Oro non è il festival dei bambini che cantano, ma il festival della canzone per bambini.
2.1.1 Filastrocche e ninna nanne
Le filastrocche sono un breve componimento in versi con una particolare musicalità data non dalla musica, bensì dal ritmo, le rime, le assonanze, le allitterazioni e le ripetizioni, anche se nel corso del tempo sono state anche spesso trascritte in musica per diventare canzoni per bambini. Esistono molti tipi di filastrocche, come le conte, gli scioglilingua e i girotondi, tuttavia è difficile fare una distinzione fra questi (Roveda 1994).
Esse sono molto antiche, rappresentavano vere e proprie formule magiche di buon auspicio o contro le malattie e le calamità naturali. Venivano recitate in dialetto e tramandate di generazione in generazione in forma orale, per questo motivo di una sola filastrocca possono esisterne molte varianti. Infatti sono fondamentali per la trasmissione delle tradizioni popolari, e non solo: raccontate ai bambini sono utili per far imparare loro tante nozioni, come per esempio una lingua, la storia, la scienza e tante altre discipline.
Con il tempo hanno assunto quindi una funzione pedagogica, perché servono ad allenare la memoria e la creatività, ma anche per imparare nuovi termini. Allo stesso tempo permettono ai bambini di divertirsi non solo imparando, ma anche socializzando (ibid.).
Esistono filastrocche adatte a tutte le occasioni, anche per dormire. In questo caso le filastrocche costituiscono la forma primitiva delle canzoni per l’infanzia, ovvero la ninna nanna: brevi e spesso prive di senso, esse sono caratterizzate da un ritmo lento e ripetitivo, tipico dei movimenti andante-andantino usati anche nelle note composizioni di Mozart, Chopin e Brahms, anche se ci sono anche quelle caratterizzate da un movimento più scattante in cui si danno degli avvertimenti, appartenenti al cosiddetto genere furbesco (Bignami 1964: 205).
Esistono ninne nanne diverse in ogni parte del mondo, ogni cultura e ogni ceto sociale, infatti potrebbero anche essere considerate come una prima forma di apprendimento della propria cultura. Nonostante ciò, è un tipo di canto universale che può riconoscersi anche se cantato in una lingua sconosciuta. Nei tempi antichi veniva anche utilizzata per scacciare i demoni cattivi dalla culla o per alleviare i dolori del neonato, ma con il tempo hanno assunto la funzione tutt’ora attuale: tranquillizzare i bambini per aiutarli ad addormentarsi.
2.1.2 Sigle televisive
Secondo l’Enciclopedia della Televisione, la sigla televisiva è una breve sequenza di immagini ed elaborazioni grafiche, quasi sempre accompagnate da un brano musicale che introduce o chiude un programma televisivo.
Nel mondo della musica per l’infanzia la televisione è all’origine di numerosi successi discografici: a partire dagli anni settanta circa, le sigle dei cartoni animati (in particolar modo quelli provenienti dal paese del Sol Levante), delle serie e dei programmi televisivi diventarono dei veri e propri successi tra i grandi ma soprattutto tra i piccini. Queste hanno l’obiettivo di attrarre il telespettatore, generando interesse e curiosità, ma anche quello di facilitare la comprensione dell’intera serie grazie alle loro melodie orecchiabili e ai testi che, ancora dopo svariati decenni, rimangono nella mente di tutti.
Come racconta Fabio Bartoli, durante il periodo d’oro delle sigle televisive, ovvero gli anni settanta e ottanta, il loro mercato era gestito dalle case discografiche, che creavano una sorta di gara d’appalto rivolta ai musicisti, in cui si forniva la videosigla, la sinossi e alcune informazioni fondamentali sulla storia e sui personaggi (Balduzzi 2014).
Spesso però queste informazioni erano veramente poche e imprecise, dunque capitava che a volte nelle sigle si narrasse qualche dettaglio fittizio che non accadeva veramente nel programma. Altre volte invece è successo che alcune sigle anticipassero eccessivamente quello che poi sarebbe stato il contenuto del programma.
Si può affermare che le sigle televisive dell’epoca d’oro siano entrate a far parte a tutti gli effetti della nostra cultura popolare, dato che tutt’ora sono cantate da coloro che all’epoca erano bambini, e anche dai bimbi di adesso, entrando così nel repertorio delle canzoni per bambini (Balduzzi 2014).
Molti di questi brani arrivarono anche sul podio delle classifiche di vendita dei 45 giri: il primo tra tutti fu la sigla di Heidi (1978), così come quella di Ufo Robot, Capitan Harlock, Remì e le sue avventure, uscite nello stesso anno. A seguire spopolarono nelle classifiche anche le sigle di Candy Candy, Anna dai capelli rossi e l’Ape Maia (1980) per poi passare a quella di Lady Oscar (1982). A partire da quell’anno sono diventate celebri anche le sigle cantate da Cristina d’Avena, star assoluta di questo genere musicale (Miccoli 2020). Delle sigle se ne occupavano principalmente artisti adulti, e raramente i bambini ne erano protagonisti, che svolgevano pertanto il semplice ruolo di consumatori (Prato 1997: 150).
In questo repertorio non rientrano solo le sigle dei cartoni animati, ma anche quelle delle serie televisive e di altri programmi. Nel 1965 spopolò La pappa col pomodoro di Rita Pavone, che accompagnava lo sceneggiato Il giornalino di Gian Burrasca, nel 1976 dominavano le classifiche Bruno Lauzi con La tartaruga, gli Oliver Onions con Sandokan, Gianni Morandi con Sei forte papà! e Lino Toffolo con Johnny Bassotto, invece l’anno successivo ebbe grande successo Mal con Furia (1977), sigla dell’omonima serie tv (ibid: 151).
Come spiega Bartoli, nei tempi più recenti sia le serie tv che i cartoni animati vengono quasi sempre trasmessi con la loro sigla originale, ma quando accade di doverne creare una appositamente, i produttori o distributori italiani del programma la commissionano direttamente a un musicista (Balduzzi 2014). Si può affermare dunque, come sostiene il musicista e giornalista Stefano di Trapani, che la produzione delle sigle televisive è diventata una questione “meramente commerciale” (Stefanini 2019). Eppure, anche le sigle formano arte essenziale del vissuto e dell’esperienza musicale del bambino, dato che vengono memorizzate facilmente per poi essere cantate nelle più svariate circostanze (Maule 2007:4).
2.1.3 Disney
“There’s a terrific power to music. You can run any of these pictures and they’d be dragging and boring, but the minute you put music behind them, they have life and vitality they don’t get any other
way.” (Walt Disney)
Un’altra componente internazionale del repertorio della musica per bambini sono le colonne sonore dei film Disney, le cui canzoni potrebbero essere considerate un vero e proprio genere musicale a sé stante, dato che è possibile riconoscerle e distinguerle dalle altre canzoni per bambini (Tofflemire 2015).
Tutto ebbe inizio nel 1937 con il film Biancaneve e i sette nani: Walt Disney non era un esperto in campo musicale, tuttavia sapeva come dare vita alle sue idee. Egli riuniva i migliori artisti, compositori, musicisti e parolieri, che lavoravano seguendo meticolosamente questa sua filosofia: “We should set a new pattern, a new way to use music. Weave it into the story so somebody doesn’t just burst into song” (ibid.). A tal proposito fu creata la tecnica “Mickey Mousing”, che consiste nel sincronizzare minuziosamente canzoni, motivetti ed effetti sonori con le azioni sullo schermo. Questo aspetto dev’essere ben curato, perché la musica ha il compito di trasmettere le emozioni delle scene che accompagna (Cavanagh 2015). Vediamo però nel dettaglio come avviene la creazione di queste canzoni.
Alan Menken, storico compositore e paroliere delle colonne sonore di numerosi film Disney come La Sirenetta (1989), La bella e la bestia (1991), Aladdin (1992 e 2019), Pocahontas (1995), Hercules (1997), Come d’Incanto (2007) e Rapunzel (2010) nonché vincitore di otto Premi Oscar e sedici Golden Globe, racconta che prima di scrivere una sceneggiatura e lo storyboard è necessario definire la storia, non tralasciando il modo e il genere musicale in cui la si vuole raccontare, e definire la sequenza in cui posizionare le canzoni. Infatti si crea prima la musica, poi il testo e infine le immagini, e il compositore collabora costantemente con l’animatore per raggiungere un perfetto equilibrio tra esse (Wood 2017).
Nel campo musicale, Disney ha influenzato molte altre case produttrici di lungometraggi animati, al punto da portare molti telespettatori a credere erroneamente che fossero un prodotto Disney, come: L’Incantesimo del lago (1994) della Crest Animation Productions, Anastasia (1997) della Fox Animation Studios, Il Principe d’Egitto (1998) e Spirit – Cavallo selvaggio (2002) della DreamWorks.
Diversamente da quanto accade per le sigle televisive, che sono create appositamente, le canzoni delle produzioni disneyane devono essere tradotte e adattate mantenendo la storia e la musica originale, poiché fanno parte in tutto e per tutto della narrazione dell’opera. Infatti le colonne sonore Disney, al momento della loro distribuzione nei vari paesi di destinazione, sono tradotte in circa 46 lingue diverse. L’internazionalità di queste canzoni trova conferma nella canzone Let it go (All’alba sorgerò) tratta dal film Frozen, di cui è stata creata una versione in 25 lingue che ha riscosso un grande successo mondiale (Cook 2017).
La multinazionale, ad ogni modo, non si è dedicata soltanto ai cartoni animati: si è cimentata anche in film – Disney Channel Original Movies – e serie televisive, contenenti canzoni forse più indirizzate a un pubblico adolescente e pre-adolescente piuttosto che ai bambini. Tuttavia, esse vengono apprezzate prevalentemente da questi ultimi, diventando veri e propri successi.
Inizialmente le produzioni erano esclusivamente nord-americane, come gli intramontabili film The Cheetah Girls (2003), High School Musical (2006), Camp Rock (2008), StarStruck – Colpita da una stella (2010), Lemonade Mouth (2011), Teen Beach Movie (2013) e Descendants (2015) e serie tv di successo come Hannah Montana (2006-2011), Jonas (2009-2010), Austin & Ally (2011-2016) e altre, successivamente ebbero popolarità delle produzioni sudamericane come Violetta (2012-2015) e Soy Luna (2016-2018). Come nel caso dei classici film Disney, anch’essi possono essere paragonati ai musical, con le canzoni che formano parte integrante della storia.
In Italia, così come negli altri paesi, a differenza di quanto avviene con i lungometraggi animati, questi brani vengono distribuiti in lingua originale e sottotitolati durante la messa in onda. Tuttavia non sono mancate serie televisive firmate Disney Channel Italia, che presentavano ovviamente canzoni in lingua italiana, come Quelli dell’Intervallo (2005-2008), In Tour (2011-2012) e Alex & Co. (2015-2017) (Imami 2020).
Certo è che, con la diffusione mondiale delle sue produzioni, le colonne sonore della Disney sono un ottimo mezzo di trasmissione di insegnamenti, tematiche e messaggi importanti ai bambini, partendo dai loro interessi e rispondendo alle loro esigenze anche dal punto di vista emotivo, ed eseguite spesso con l’accompagnamento di musiche di alto livello appartenenti a vari generi, inspirate frequentemente a pezzi di operettistica tipici dell’Ottocento (Maule 2007: 3-6).
2.2 Lo Zecchino d’Oro
Lo Zecchino d’Oro è una rassegna musicale internazionale dedicata alle canzoni per l’infanzia che ha avuto luogo dal 1959 al 1960 al Salone del Bambino di Milano e a partire dal 1961 all’Antoniano di Bologna. Dal 2008 è Patrimonio dell’UNESCO per promuovere una cultura di pace. Secondo il sito ufficiale della rassegna1, si tratta di una delle trasmissioni più longeve della televisione italiana, nonché un evento della tradizione nazionale e internazionale in cui i bambini hanno l’opportunità di imparare e rendere propri, attraverso la musica, valori e messaggi educativi di grande importanza, di abbattere le distanze e le differenze tra loro, di scoprire se stessi e il mondo, mettendo anche in atto iniziative di solidarietà per aiutare chi è in difficoltà.
Il nome della trasmissione si è ispirato alla fiaba Pinocchio scritta da Carlo Lorenzini, in arte Collodi: infatti il Salone del Bambino di Milano che ospitava la rassegna, quell’anno si ispirava alla celebre storia del burattino. Lo spettacolo aveva come fulcro un concorso per scegliere nuove canzoni per l’infanzia, cantate e giudicate dai bambini, e la canzone vincitrice riceveva uno Zecchino d’Oro, le monete che crescevano dall’albero di denaro della fiaba (cfr. approfondimento 2.2.1).
Anche se nel corso delle varie edizioni la trasmissione si è staccata dalla fiaba di Pinocchio, ha comunque mantenuto la caratteristica di essere a misura di bambino. Allo Zecchino d’Oro i solisti, il Piccolo Coro e i bambini del pubblico vengono considerati tutti sullo stesso piano, dunque non sono in competizione l’uno con l’altro:
1 Per approfondimenti, si veda: https://www.zecchinodoro.org/
sono infatti le canzoni a cui loro danno voce ad essere in gara tra loro.
Secondo la filosofia del programma, le canzoni per bambini non rappresentano un sotto-genere della “canzone per i grandi”, per questo si porta avanti l’idea che i bambini abbiano diritto a canzoni curate con attenzione sotto ogni punto di vista e con professionalità, con testi ispirati a ideali etici, civili, sociali ed educativi. Come riportato nel sito ufficiale della trasmissione, pur non essendo obbligatorio lanciare messaggi, c’è tuttavia la convinzione che questi contenuti importanti possano essere trasmessi anche ai bambini grazie all’aiuto della musica e della creatività.
Non è possibile collocare le canzoni dello Zecchino d’Oro in un particolare genere, dato che ogni brano ha uno stile musicale differente. Tuttavia, sono molteplici i temi e gli insegnamenti che i bambini di numerose generazioni hanno reso propri attraverso i brani della rassegna, tra cui: il rispetto dell’ambiente, con Hanno rubato il prato (1973), Il fiore di città (1976), Monta in Mountain bike (1991), Il Katalicammello (1997), Quando la tigre non ci sarà più (1998), Respiriamo la città (2001), Tito e Tato (2008); diverse nozioni storiche, con canzoni come Gugù, bambino dell’età della pietra (1976), La Niña, la Pinta e la Santa Maria (1999), Quel secchione di Leonardo (2013); argomenti religiosi, con Padre Nostro che sei dappertutto (1976), Nè bianco né nero (1992), Caro Gesù ti scrivo (1997) e Forza Gesù (2010), ma anche riguardanti altri credi, come Il nostro amico Onam (1990) che si rifà a una festa Hindù e Preghiera (1998), di stampo animista; argomenti contro la guerra come Scacco Matto (2001) e La guerra dei mutandoni (2003), altri sulla solidarietà, la pace, e la fratellanza come Girotondo di tutto il mondo (1966), Vola Palombella (1986), Goccia dopo goccia (1993), Il cielo di Beirut (2003), Una stella a Betlemme (2004); e tanti altri, tra cui anche il tema del divorzio, affrontato nel 1973 con la canzone Io con chi sto, molto criticata all’epoca.
Molti autori illustri hanno dato vita alle canzoni dello Zecchino d’Oro, come Mogol, Memo Remigi, Pino Daniele, Lucio Dalla, Bruno Lauzi, Luigi Albertelli, Augusto Martelli e altri artisti famosi come Biagio Antonacci, Dodi Battaglia, Claudio Baglioni, Edoardo Bennato, Simone Cristicchi, Roby Facchinetti, Franco Fasano, Sandro Giacobbe, Amedeo Minghi, Mino Reitano, Pupo e Riccardo Zara (Prato 1997: 158).
2.2.1 Storia dello Zecchino d’Oro
Lo Zecchino d’Oro ebbe inizio a Milano il 24 Settembre del 1959 in occasione del “Salone del Bambino”, una fiera dedicata ai prodotti per l’infanzia alla quale si era scelto di affiancare uno spettacolo al fine di promuovere delle canzoni rivolte esclusivamente ai bambini. Come conduttore, autore e scenografo fu scelto Cino Tortorella, all’epoca già conosciuto per il programma televisivo per ragazzi Zurlì, il mago del giovedì. La prima edizione, che seguiva le vicende di Pinocchio, fu divisa in tre giornate e parteciparono dieci bambini provenienti da alcune scuole di musica milanesi. La canzone vincitrice fu Quartetto, di F. Izzi e A. Bignotti. Sin da allora infatti fu ribadito lo scopo della trasmissione: a vincere era la canzone, quindi gli autori della stessa, non i bambini che la interpretano (Visioli 2017: 35).
Nel 1961 la manifestazione si trasferì a Bologna e a partire da quel momento è stata sempre organizzata dall’Antoniano. A interpretare le canzoni erano bambini provenienti da tutta l’Italia, che da dieci aumentarono a tredici. Sempre nel 1961 entrò a far parte del mondo dello Zecchino d’Oro Mariele Ventre, musicista ed educatrice, che inizialmente si occupava di insegnare le canzoni ai piccoli interpreti, per diventare poi la direttrice del Piccolo Coro dell’Antoniano. Negli anni sessanta si registrò un incredibile incremento della popolarità del festival: ogni anno si presentavano sempre più canzoni, dalle quattordici originarie del 1959 si arrivò a 527 nel 1967.
Nel 1963 Mariele Ventre crea il Piccolo Coro dell’Antoniano, composto da bambini tra i 3 e i 12 anni residenti a Bologna che, oltre a prepararsi rigorosamente durante tutto l’anno per la partecipazione alle trasmissioni televisive e ai concerti, frequentano quotidianamente la scuola di canto, come ha confermato anche Francesca Bernardi, interprete della canzone La Teresina del 18° Zecchino d’Oro, ex corista del Piccolo Coro dell’Antoniano nonché ideatrice e curatrice del sito Testimonianze Musicali2. Loro si possono considerare i veri e propri “protagonisti” della trasmissione forse molto più che i solisti stessi. Anche se il sito ufficiale riporta che i coristi, in tutte le edizioni della manifestazione a partire dal 1963 hanno affiancato i solisti principalmente in veste di accompagnamento corale, Francesca Bernardi ha sottolineato che tutto ciò avvenne solo a partire dagli anni settanta e che, prima del 1971, ci furono casi di brani in cui il coro fu totalmente assente. Infatti, nello stesso anno lo Zecchino d’Oro fu considerato deleterio per l’infanzia da parte di alcuni esperti RAI, che lo accusarono di favorire casi di divismo. A partire da allora, come riportato nella pagina web della 13° edizione, l’Antoniano decise che le canzoni fossero interpretate in maggior parte dal Piccolo Coro, con solo qualche parte cantata dai solisti, e che questi non fossero mai meno di due per evitare di mettere in risalto un singolo bambino.
2 Per approfondimenti, si veda: https://www.testimonianzemusicali.com/
Ciononostante, il Piccolo Coro non ha il mero ruolo di accompagnamento corale: non sono mancati episodi in cui qualche componente, sia per improvvise questioni di salute o per motivi burocratici, abbia dovuto sostituire qualche solista durante la trasmissione. Per questo motivo era fondamentale che imparassero, oltre ai testi delle canzoni in italiano, anche le strofe in lingua originale delle canzoni straniere.
A partire dal 1963 le canzoni della trasmissione iniziano ad essere incise su vinili a 33 giri e nel 1969 la trasmissione fa il primo passo verso l’internazionalizzazione, quando fu trasmessa per la prima volta in Eurovisione. Altri cambiamenti avvennero alla quindicesima edizione, quella del 1973: l’orchestra fu sostituita da basi strumentali e Cino Tortorella smise di impersonare Mago Zurlì, pur continuando a condurre. Inoltre, da quell’anno fino al 1981 si trasmise in diretta solo la finale, lasciando le altre serate alle trasmissioni via radio.
Ad ogni modo, l’anno della svolta per la trasmissione fu il 1976, in cui ebbero luogo due edizioni, la prima a marzo e la seconda in autunno, dove resterà collocata per sempre, affinché gli educatori potessero insegnare le nuove canzoni ai bambini durante l’anno scolastico. Tuttavia la caratteristica più importante è che quell’anno lo Zecchino d’Oro divenne internazionale, poiché la rassegna ebbe metà delle canzoni italiane e l’altra metà straniere, ottenendo il patrocinio dell’Unicef.
Ma in ambito internazionale lo Zecchino d’Oro non è solo musica: a partire dal 1991 nasce Il Fiore della Solidarietà. Infatti, attraverso la trasmissione, l’Antoniano decise di raccogliere fondi per costruire scuole, ospedali e altre strutture per bambini nei paesi in via di sviluppo, in zone colpite da guerre o calamità naturali. Secondo il sito ufficiale dello Zecchino d’Oro, ogni edizione si occupava di aiutare paesi diversi, ma non mancò anche l’Italia: infatti oltre a Bangladesh, Bolivia, Brasile, Cambogia, Congo, Costa d’Avorio, Croazia, Haiti, India, Kenya, Mozambico, Palestina, Papua Nuova Guinea, Perù, Ruanda, Romania, Tanzania e Zimbabwe, in diverse edizioni le raccolte fondi vennero destinate a regioni colpite da calamità naturali, come: Piemonte, Umbria, Marche, Molise e, a partire dal 2014, i fondi sono stati destinati alla mensa dell’Antoniano e a iniziative di inserimento sociale, sanitario e lavorativo (Messina 2017).
Nel 1995, poche settimane dopo la trentottesima edizione, dopo una lunga malattia morì Mariele Ventre, fondatrice e direttrice del Piccolo Coro, un’artista con un ruolo estremamente importante nella storia dell’Antoniano e dello Zecchino d’Oro. Pertanto, a partire dal 1996 è diventata direttrice del Piccolo Coro la maestra Sabrina Simoni, che aveva già affiancato Mariele Ventre dal 1993 al 1995 e ricopre tutt’ora questo ruolo.
2.2.2 Le canzoni straniere allo Zecchino d’Oro
“I bambini trovano sempre il modo di comunicare fra di loro, anche se parlano lingue diverse: magari basta un semplice gioco di parole per diventare amici. Il canto, poi, soprattutto inteso come canto corale, è il mezzo più significativo e più bello con cui i bambini trasmettono ai grandi il desiderio di
pace e bontà.” (B. Rossi 1982: 426)
Come anticipato nel sotto-capitolo precedente, nel 1976 entrarono a far parte della rassegna dello Zecchino d’Oro anche le canzoni straniere. I primi sette paesi stranieri a partecipare furono Francia, Giappone, Inghilterra, Iugoslavia, Olanda, Unione Sovietica e Venezuela. Le canzoni straniere si eseguivano in italiano, mentre una strofa era mantenuta in lingua originale. Le canzoni sono passate da 12 a 14 e fu introdotto un doppio Zecchino d’Argento, uno per le canzoni italiane e uno per le canzoni straniere.
A livello internazionale, il festival era introdotto dalla canzone Ciao Amico (di Capelli- Cadile-F. e M. Reitano), un saluto ai bimbi di tutto il mondo e sigla ufficiale del programma fino al 1984, la cui melodia fu ripresa per la sigla di Eurovisione, il Te Deum di Charpentier. Successivamente, a partire dalla ventitreesima edizione sono state aggiunte delle piccole strofe in sei lingue straniere: inglese, francese, tedesco, olandese, spagnolo ed esperanto (Bernardi 2019).
In primo luogo si sceglievano i paesi partecipanti, poi giungeva il momento di trovare il bambino che avrebbe cantato la canzone: nei primi anni la selezione riguardava bambini residenti in Italia, ma nati da genitori stranieri, oppure si cercavano nelle scuole internazionali o attraverso le ambasciate estere in Italia. Successivamente i bambini arrivavano spesso dall’estero, non sapendo nemmeno una parola d’italiano. Per la loro selezione venivano contattate ambasciate, scuole di musica, cori, organizzazioni religiose dello Stato in questione.
Per quanto riguarda invece la selezione delle canzoni straniere, come recita il regolamento del 18° Zecchino d’Oro, dovevano reperirsi quelle più significative e di maggiore successo nella produzione per l’infanzia, per poi commissionarne una traduzione italiana. Eppure, soprattutto a partire dalle edizioni successive, l’Antoniano non selezionava solo canzoni scritte appositamente per i bambini. Spesso sono stati scelti brani tradizionali del paese scelto, che facevano parte del folklore locale o che raccontavano leggende popolari. Tra queste troviamo Teru terubozu (Giappone, 1976) tratta da un’usanza locale che racconta di un amuleto per la pioggia, Hagi Firuz (Iran, 1977) un personaggio del folklore persiano, Arirang (1983) inno non ufficiale della Corea, Mettiamoci a ballare (Polonia, 1989), Il mio cuore è un gran pallone (Svezia, 2005) e La danza di Rosinka (Bulgaria, 2009) solo per citarne alcune. Altre erano canzoni appartenenti al repertorio infantile di quel determinato paese, come Vola Palombella (Libano, 1986), Mille voci una voce (Unione Sovietica, 1987), Antenne Blu (Uruguay, 1994), Tenerotto, Grigiolino e Ruvidone (Turchia, 1996), Ma va là! (Vietnam, 2003) o Filastrocche (Ucraina, 2007); in alcuni casi venivano presentati addirittura brani stranieri della musica contemporanea che originariamente non erano previsti per un pubblico infantile, come Tinghelingheling (Germania, 1983), Il tempo (Uruguay, 2003) e Lo scriverò nel vento (Turchia, 2006). Tutti questi brani venivano successivamente rielaborati e tradotti in italiano, tuttavia, come confermato dalla direttrice del Piccolo Coro dell’Antoniano Sabrina Simoni in occasione della visita all’Antoniano di Bologna e da Ezequiel Palmieri, autore de Il canto del gauchito, spesso ad occuparsi di questo compito erano professionisti del settore musicale e parolieri piuttosto che traduttori (cfr. 1 e 3.4).
Purtroppo è necessario segnalare che, a partire dal 2017, alla rassegna cessano completamente di partecipare canzoni di autori stranieri.
D’altro canto, alcune delle canzoni dello Zecchino d’Oro sono state tradotte in altre lingue e diventate famose all’estero, come Volevo un gatto nero (1969) e Il caffè della Peppina (1971) che sono state tradotte in giapponese, altri classici invece sono stati tradotti in spagnolo e anche in inglese nel disco Concerto per Papa Wojtyla (1979). Altre canzoni della rassegna sono diventate la colonna sonora del cartone animato 44 Gatti, trasmesso in oltre 100 Paesi e tradotto in più di 20 lingue.
Tutto questo ha contribuito alla diffusione delle canzoni della trasmissione, e di conseguenza del repertorio italiano delle canzoni dell’infanzia, in molti paesi del mondo. Infatti non sono mancati numerosi viaggi e tournée all’estero del Piccolo Coro dell’Antoniano: Belgio, Bulgaria, Cina, Giappone, Polonia, Spagna e Terra Santa, solo per nominare alcuni paesi (Bernardi, personal communication).
2.2.3 Lo Zecchino d’Oro e l’Unicef
“A tutti i bambini del mio paese dico: aiutiamo l’Unicef perché l’Unicef in tutto il mondo aiuta i bambini meno fortunati di noi”. Come riportato nella pagina web della 21° edizione, così recitava il messaggio letto in varie lingue dai bambini stranieri partecipanti all’edizione dell’anno 1976, che venne poi replicato anche nelle edizioni successive.
Infatti, il 1976 è stato l’anno in cui, oltre a diventare una rassegna internazionale di musica per bambini, lo Zecchino d’Oro diventa anche un mezzo di promozione delle attività dell’Unicef in tutto il mondo. In quell’edizione, la diciottesima, l’attrice Giulietta Masina in rappresentanza dell’Unicef ne illustrò le finalità, per poi introdurre il messaggio internazionale.
Le Nazioni Unite proclamarono il 1979 l’Anno Internazionale del Bambino, con lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica sugli argomenti della Dichiarazione dei Diritti del Bambino. L’anno prima fu ospite durante la trasmissione Jimmy McDougall, responsabile europeo dell’ONU, per promuovere quest’iniziativa che si sarebbe tenuta l’anno seguente. Così, in occasione della ventiduesima edizione, lo Zecchino d’Oro divenne la manifestazione ufficiale di apertura, e si decise di trattare nelle canzoni i temi della Dichiarazione Universale dei Diritti del Fanciullo, cercando di ottenere la partecipazione di più continenti possibili per poter rappresentare i bambini di tutto il mondo: per l’America parteciparono l’Argentina e gli Stati Uniti; per l’Africa l’Eritrea; per l’Europa l’Italia, la Romania e la Svezia e, infine, l’Asia è stata rappresentata dal Pakistan. Quell’anno intervenne alla rassegna Arnoldo Farina, il Presidente fondatore di Unicef Italia e consulente dell’ONU per l’Anno Internazionale del Bambino (Bernardi 2018).
In tempi più recenti, nel 2003, il Piccolo Coro dell’Antoniano è stato nominato Goodwill Ambassador dall’UNICEF3 “perché attraverso la forza comunicativa e il linguaggio universale della musica e del canto interpretato dai bambini possa trasmettere un messaggio di pace e speranza a tutti i loro coetanei, senza distinzione di nazionalità, religione, sesso, lingua e razza”.
2.2.4 Lo Zecchino d’Oro in America Latina
Come accennato in precedenza, lo Zecchino d’Oro è una rassegna internazionale che ha contato sulla partecipazione di numerosi paesi esteri. In particolare hanno dato un grande contributo culturale al programma i paesi dell’America Latina, con le sue canzoni e i bambini che l’hanno rappresentata al festival.
Tra questi, il paese che ha partecipato più volte è l’Argentina con sei canzoni, seguito dal Venezuela con quattro canzoni, Colombia e Uruguay con tre, poi hanno partecipato due volte Costa Rica, Cuba, Ecuador, Messico, Panama e Perù, e una volta Bolivia, Cile, El Salvador e Nicaragua. I telespettatori latinoamericani potevano seguire la trasmissione via satellite grazie ai canali della RAI in Mondovisione. In qualche edizione era possibile anche acquistare, ogni anno, i trentatré giri contenenti le sette canzoni italiane e le sette canzoni straniere di questi paesi, con il titolo Zecchino d’Oro – Festival Internacional de la canción para niños, ma sono anche usciti trentatré giri appositamente per il pubblico sudamericano, in cui venivano proposti i grandi successi dello Zecchino d’Oro cantati in spagnolo e portoghese del Piccolo Coro dell’Antoniano, distribuito nel 1979 in Venezuela col titolo De los niños para los niños – Pequeño Coro Antoniano Bologna; in Colombia col titolo Coro Infantil Antoniano di Bologna e infine in Argentina Zecchino d’Oro en Castellano. Il disco è uscito anche nel mercato discografico di Spagna, Brasile e Portogallo, dove ottenne niente meno che il disco d’oro.
3 Come riporta il sito ufficiale dell’UNICEF, sono persone scelte per la loro notorietà, affidabilità, professionalità e credibilità, disponibili a donare parte del proprio tempo per coinvolgere l’opinione pubblica sui temi dei diritti dell’infanzia, aiutando la mobilitazione di risorse e facilitando la creazione di partnership a beneficio dell’infanzia nel mondo.
Ad ogni modo in America Latina non arrivò solo lo Zecchino d’Oro: il Piccolo Coro dell’Antoniano diede il suo contributo partecipando all’album ¡Tiren papelitos muchachos! con la canzone Chin Chin en todo el mundo (Cin Cin in tutto il mondo) in occasione dei mondiali di calcio tenutisi in Argentina nel 1978. Nello stesso anno, in occasione dell’Anno Internazionale del Bambino (anche se con un anno di anticipo) andò in onda il programma musicale La sonrisa de un niño diretto da Valerio Lazarov e girato sull’isola di Tenerife. Lo speciale aveva come protagonisti i bambini, che stanchi di un sistema televisivo colmo di palinsesti dedicati agli adulti, decisero di produrre un programma tutto loro occupandosi delle telecamere, del suono e della produzione, in cui dominavano le canzoni per l’infanzia. Tra i partecipanti internazionali spiccava il Piccolo Coro dell’Antoniano di Bologna. Il programma fu vincitore del Premio del Danubio nel V Festival Internazionale di Trasmissioni Televisive per l’infanzia e la gioventù di Bratislava (Bernardi 2020).
3. Analisi traduttologica dei quattro brani selezionati
Il terzo capitolo è dedicato all’analisi traduttologica di quattro canzoni straniere che rappresentarono alcuni paesi dell’America Latina alla rassegna dello Zecchino d’Oro. Lo scopo di questa analisi è quello di evidenziare come sono state adattate queste canzoni per il pubblico infantile italiano, quali strategie di traduzione sono state adottate e quali potrebbero essere state le motivazioni di queste scelte.
Le canzoni selezionate saranno presentate in ordine cronologico, confrontandole con la loro versione originale in spagnolo e affiancate da una mia traduzione letterale. Si è optato per scegliere quei brani che hanno degli aspetti interessanti da analizzare e confrontare a livello della loro traduzione o adattamento. Di seguito, i criteri di scelta di ognuna delle canzoni.
Il primo brano analizzato è Cavallino Peruviano, che ha rappresentato il Perù nella rassegna del 1977. È stato scelto per la fedeltà della traduzione al testo di partenza, e per analizzare in che modo la canzone José Antonio, dell’illustre cantautrice folk Chabuca Granda, sia stata adattata al pubblico infantile.
La seconda canzone selezionata è Caterina Caterina, che ha rappresentato l’Argentina nella rassegna del 1983. Il brano non è assolutamente fedele all’originale, si potrebbe anzi definire un testo di sostituzione (cfr. 1.2) ed è stato scelto per evidenziare che della canzone originale, Maestra Isleña di Los Arroyeños, è stata mantenuta solo la melodia, provando a ipotizzare le motivazioni di questa scelta.
La terza canzone oggetto di analisi è Il bambino che vale un Perù, che ha rappresentato questo paese nella rassegna del 1989. Abbastanza fedele all’originale, Festejo de Navidad, è stata scelta per analizzare in che modo sono stati resi in italiano i culturemi peruviani di questa tipica canzone natalizia.
Il quarto brano selezionato è Il canto del gauchito, che ha rappresentato l’Argentina nella rassegna del 2012. In questo caso, la scelta risponde all’obiettivo di analizzare la particolare decisione di trasformare gli elementi culturali propri del tango e della città presenti nel brano originale Che, vos…tango mío in elementi culturali del contesto rurale del gaucho, pur appartenenti allo stesso paese.
Occorre inoltre specificare che, come ogni canzone straniera partecipante allo Zecchino d’Oro, anche i quattro brani selezionati contengono due o più strofe in lingua originale. Analizziamoli ma in dettaglio.
3.1 José Antonio – Cavallino Peruviano
José Antonio è un tondero, canzone e danza popolare della Costa Nord del Perù, composta dalla cantautrice, poetessa e folklorista peruviana María Isabel Granda y Larco, conosciuta in tutto il mondo come Chabuca Granda. È stata scritta nel 1957, ispirandosi a José Antonio de Lavalle y García, figlio di diplomatici e nipote del Presidente del Perù Manuel Pardo y Lavalle, nonché discendente di una famiglia di conti e marchesi. Lui era ingegnere agronomo e perito nell’industria zootecnica, tuttavia il suo più grande interesse era l’allevamento e la conservazione della razza equina Paso Peruviano (Gutiérrez 2021), ragione per cui nella canzone José Antonio viene descritto mentre cavalca il suo destriero. Purtroppo egli morì il 17 maggio 1957, prima che Chabuca Granda presentasse la canzone: fu così che la cantautrice decise di rendergli omaggio cantandola con commozione in occasione di un evento post mortem a lui dedicato, aggiungendo un’ulteriore strofa “José Antonio, José Antonio / ¿Por qué me dejaste aquí?” (José Antonio, José Antonio, perché mi hai lasciato qui?). La canzone divenne presto celebre in tutto il mondo, cantata da numerosi artisti in varie versioni. Negli anni, l’autrice stessa perfezionò il proprio tondero, aggiungendo nuovi versi fino ad arrivare alla sua versione definitiva pubblicata nel 1967 nell’album Dialogando, che contiene anche altri suoi brani famosi come El puente de los suspiros e La flor de la canela con il contributo del chitarrista peruviano Óscar Avilés.
È stato nel 1977 che la canzone venne proposta alla 20° edizione dello Zecchino d’Oro tradotta in italiano da Alberto Testa, uno dei più importanti parolieri italiani, e adattata al pubblico infantile. Il brano, presentato col titolo Cavallino Peruviano, fu cantato da Milena Palacios, una bambina peruviana, rappresentando per la prima volta il Perù in questa rassegna internazionale. Vediamone i due testi a confronto, accompagnati dalla mia proposta di traduzione letterale.
TESTO ORIGINALE
VERSIONE ITALIANA TRADUZIONE
LETTERALE
1 Por una vereda viene cabalgando José Antonio,
se viene desde el Barranco
a ver la flor de amancaes Cavalcando sul sentiero sta arrivando José Antonio:
lui cerca, girando il mondo,
il tulipano più giallo… Su un marciapiede arriva cavalcando José Antonio
viene da Barranco a vedere il fiore amancaes
2 En un berebere criollo, va a lo largo del camino con jipijapa, pañuelo
y poncho blanco de lino. Nessuno così elegante troverai sul tuo cammino: sombrero di fine paglia
e poncho bianco di lino… Su un criollo berbero va lungo il cammino con jipijapa, fazzoletto
e poncho bianco di lino.
3 Mientras corre la mañana,
su recuerdo juguetea y con alegre retozo
el caballo pajarea. Chiari come la mattina
i pensieri nella mente e il cavallino fedele
trotterella allegramente… Mentre corre la mattina
il suo ricordo giocherella e con un allegro saltellio il cavallo trotterella.
4 Fina garúa de junio
le besa las dos mejillas
y cuatro cascos cantando van camino de amancaes L’aria limpida di giugno leggera gli sfiora il viso, Intanto la sua canzone corre incontro ai tulipani La fine pioggia di giugno gli bacia le due guance, quattro zoccoli mentre cantano vanno verso gli amancaes
5 Qué hermoso que es mi chalán
cuán elegante y garboso
sujeta la fina rienda de seda
que es blanca y roja. Va a cavallo José Antonio
con eleganza e destrezza
e regge le briglie rosse di seta
con leggerezza. Che bello è il mio fantino
così elegante e con garbo
tiene le fine briglie di seta
bianca e rossa
6 Qué dulce gobierna el freno
con solo cinta de seda
al dar un quiebro gracioso
al criollo berebere. Gli basta di tanto in tanto
tirarle un po’ piano piano
per fare cambiar il passo
al cavallino peruviano Governa il freno dolcemente
con solo un nastro di seta
dando un’agile torsione
al criollo berbero.
7 Tú, mi tierra, que eres blanda,
le diste ese extraño andar
enseñándole el amblar
del paso llano gateado; Por una vereda viene cabalgando Josè Antonio:
se viene desde el Barranco
a ver la flor de
amancaes… Tu, terra mia, che sei morbida,
gli hai dato questo modo di camminare, insegnandogli ad ambiare col passo llano
gateado
8 Siente como le quitaste durezas del berebere que allá en su tierra de origen,
arenas le hacían daño. Leggero va il cavallino lungo l’argine del fiume, perché questa dolce terra
è come un prato di piume… Sente come gli hai tolto le durezze del berbero, che là nella sua terra d’origine
le sabbie gli facevano
male.
9 Fina cadencia en el anca,
brillante seda en las crines,
y el nervio tierno y alerta
para el deseo del amo. Ha i riflessi della seta,
la criniera rilucente,
i quattro zoccoli lievi
stan cantando allegramente… Fine cadenza sulla groppa,
seta brillante sulla criniera
e il nervo tenero e all’erta
del desiderio del
padrone
10 Ya no levanta las manos para luchar con la arena, quedó plasmado en el tiempo
su andar de paso peruano. Corre corre a briglia sciolta
tutt’uno col suo fantino e come un cavallo alato
vola incontro ai tulipani… Non alza più le mani, per lottare con la sabbia è rimasto plasmato nel tempo
la sua andantina da Paso peruviano
Que hermoso que es mi
«chalàn»,
Cuan elegante y garboso,
Sujeta la fina rienda de seda
Que es blanca y roja,
Que dulce gobierna el freno
Con solo cintas de seda Al dar un quiebro gracioso
Al criollo «berebere»…
11 José Antonio, José Antonio
¿por qué me dejaste aquí?
cuando te vuelva a encontrar
que sea junio y garúe. Josè Antonio, Josè Antonio
perché non ti fermi qui? dappertutto puoi trovar
quel che tu stai cercando… José Antonio, José Antonio,
perché mi hai lasciato qui?
quando ti rincontrerò
che sia giugno e piova
12 Me acurrucaré a tu espalda
bajo tu poncho de lino y en las cintas del sombrero
quiero ver los amancaes Non andare per il mondo
con il tuo bel cavallino: quanti fiori, tu vedrai,
sbocceranno anche da noi! Mi rannicchierò sulla tua schiena
sotto il tuo poncho di lino e nei lacci del cappello
voglio vedere gli amancaes
13 que recoja para ti cuando a la grupa me lleves,
de ese tu sueño logrado
de tu caballo de paso aquel del paso peruano. Se non sarà un tulipano sarà una rosa o una viola,
un gelsomino o un lillà,
ma tu rimani qui con noi insieme al tuo cavallino! che raccoglierò per te quando mi porterai sulla groppa,
di quel tuo sogno realizzato
del tuo cavallo Paso quello del Paso
Peruviano
Confrontando il testo originale con la versione italiana è possibile notare una certa fedeltà al testo di partenza. Tuttavia, sono presenti alcune differenze.
Nella prima strofa, José Antonio arriva cavalcando su un marciapiede, nella versione italiana invece cavalca su un sentiero; nella versione originale lui arriva da Barranco, un distretto di Lima, invece nella versione italiana lui “gira il mondo”. Potrebbe trattarsi di una generalizzazione, impiegata in questo caso perché un bambino italiano probabilmente non conosce il luogo in questione; il fiore amancaes viene tradotto con “il tulipano più giallo”, in questo caso, è stata utilizzata una strategia addomesticante, che mantiene però una certa similitudine, perché l’amancaes è un fiore simile a un tulipano giallo.
In seguito, nella seconda strofa, “jipi japa, pañuelo y poncho blanco de lino”, ovvero il tipico abbigliamento del fantino del cavallo di razza Paso Peruviano, viene mantenuto, omettendo però pañuelo, il fazzoletto, per adattarsi alla metrica. Il termine jipijapa, ovvero il cappello di Panama, fatto di paglia sottile, viene reso attraverso un’esplicitazione: “sombrero di fine paglia”, utilizzando anche “sombrero” come forestierismo.
Mentre la terza strofa è fedele al testo di partenza, vediamo poi che nella quarta strofa, la “fina garúa”, ovvero la pioggerella, viene cambiata con “l’aria limpida”, per passare poi alla quinta strofa in cui chalán, il nome del fantino del cavallo Paso Peruviano, viene cambiato con il nome proprio del personaggio, José Antonio. Inoltre, le briglie di seta non sono più bianche e rosse, sono solo rosse, e la parola “fina” viene resa con “leggerezza” attraverso l’utilizzo di una ricategorizzazione. Successivamente, nella sesta strofa, il linguaggio tipico dell’equitazione viene perso nella versione italiana, utilizzando dei termini più generali: “qué dulce gobierna el freno” (governa il freno dolcemente) viene tradotto con “gli basta di tanto in tanto tirarle un po’ piano piano”, invece il “quiebro gracioso” (un’agile torsione) viene reso con “cambiare il passo”.
In corrispondenza con la settima strofa, nella versione italiana viene aggiunta la prima strofa in lingua originale, come in tutte le canzoni straniere dello Zecchino d’Oro, così come accade tra la decima e l’undicesima strofa, in cui viene aggiunto il ritornello in spagnolo (strofa 5 e 6). La strofa numero sette della versione italiana, dunque, non riprende la corrispondente strofa originale, che invece viene tradotta nell’ottava strofa italiana, in cui “tú mi tierra que eres blanda” (tu, mia terra, che sei morbida) viene reso più poeticamente con “perché questa dolce terra è come un prato di piume”. L’ottava strofa originale invece è omessa. Anche la nona strofa di Cavallino peruviano, così come la decima, non è fedele all’originale, tranne che per “brillante seda en las crines” che viene tradotta con “ha i riflessi della seta / la criniera rilucente”.
Infine, le strofe numero 11, 12 e 13 sono state aggiunte dopo la morte di José Antonio, che nella versione originale viene raccontata con i versi “José Antonio, José Antonio / ¿Por qué me dejaste aquí?”. Ovviamente, nella versione italiana, destinata a un pubblico infantile, si è preferito non far cenno alla sua morte, pertanto questi versi vengono resi con “José Antonio, José Antonio / perché non ti fermi qui?”. Tuttavia, anche queste ultime strofe non sono fedeli all’originale, infatti l’unico elemento ripreso sono gli amancaes, che vengono generalizzati in fiori.
Diversamente da quanto suggerito da Low nel suo Pentathlon Principle (cfr. 1.1.2), il numero delle sillabe non viene mai mantenuto nella versione italiana di questa canzone. Tuttavia, le strofe risultano cantabili, perché lo schema metrico, che viene rispettato solo nelle prime quattro strofe e nelle ultime tre, è compensato con l’estensione di note, vocali, consonanti e pause.
3.2 Maestra Isleña – Caterina Caterina
Maestra Isleña è un brano del 1979 interpretato dal gruppo folkloristico argentino Los Arroyeños (il toponimo di San Nicolás de los Arroyos, città in cui si è formato nel 1960). I suoi componenti Carlos Alberto “Coco” Dos Santos e Eugenio Carlos Inchausti si sono occupati rispettivamente della musica e del testo. La canzone è stata pubblicata nell’album Que se vengan los chicos, uscito in Argentina nel maggio del 1979 e che raccoglieva brani appartenenti a diversi generi tradizionali, come: il carnavalito, un’allegra danza collettiva tipica di Jujuy e Salta; la chacarera, un ballo folkloristico della zona di Santiago del Estero; la tonada, un’antica ballata popolare che nel caso della variante Argentina era originaria dell’ex-provincia di Cuyo; la vidala chayera, un mix tra la vidala e la tonada, un ritmo e canto libero delle Ande; bailecitos e tanti altri, in cui si raccontano le storie di vita quotidiana delle province Argentine. Nonostante nel disco venga indicata come rasguido doble, in realtà la canzone Maestra Isleña è un chamamé, genere musicale originario della provincia di Corrientes che si suona nel nord-est e nella Mesopotamia Argentina, dichiarato anche Patrimonio culturale immateriale dell’UNESCO.
Il testo della versione italiana è stato affidato al paroliere Giorgio Calabrese, che scrisse ben 29 canzoni per lo Zecchino d’Oro. Prese il titolo Caterina Caterina e rappresentò l’Argentina nella 26° edizione della rassegna nel 1983, interpretata dalla piccola Laura Gumy.
Mettiamo ora a confronto i due testi.
TESTO ORIGINALE
VERSIONE ITALIANA TRADUZIONE
LETTERALE
1 La quiero a mi señorita flor jacarandá
es tan buena y tan bonita
como mi mamá Caterina Caterina hai ragione tu,
che pazienza che ci vuole…
non se ne può più! Voglio bene alla mia maestra, fiore jacarandá è così buona e così bella
come la mia mamma
2 La quiero a mi señorita flor jacarandá
es tan buena y tan bonita
como mi mamá Caterina Caterina hai ragione tu, cancelliamo le parole
dal bel cielo blu. Voglio bene alla mia maestra, fiore jacarandá è così buona e così bella
come la mia mamma
3 Apenas el sol asoma
en el albardón
yo me voy con mi canoa por el Tiburón Chi non canta e si affatica
più di quel che può,
a un amico o a un’amica dice sempre no. Appena sorge il sole
sull’isola
io vado sulla mia canoa lungo il Tiburón
4 A orillas del Carabela en San Salvador
me espera feliz la escuela
y ella con amor Quindi, lascia che ti dica o morale o no
che chi sbaglia è la formica,
la cicala no…! Sulle rive del Carabela a San Salvador
mi aspetta felice la scuola
e lei con amore
5 La quiero a mi señorita flor jacarandá
es tan buena y tan bonita
como mi mamá Caterina Caterina hai ragione tu,
che pazienza che ci vuole…
non se ne può più! Voglio bene alla mia maestra, fiore jacarandá è così buona e così bella
come la mia mamma
6 La quiero a mi señorita flor jacarandá
es tan buena y tan bonita
como mi mamá Caterina Caterina hai ragione tu, cancelliamo le parole
dal bel cielo blu. Voglio bene alla mia maestra, fiore jacarandá è così buona e così bella
come la mia mamma
7 Y mientras que la campana
toca su ding dong apurada borra y borra
borra el pizarrón. La pigrizia andò al mercato
e un’idea comprò. mezzogiorno era suonato
quando rincasò… E mentre la campana
suona il suo ding dong cancella e cancella di fretta
cancella la lavagna
8 Nos enseña decimales sumar y restar
vemos verbos regulares y otro irregular. Suo marito era affamato quando ritornò
ma col pranzo surgelato lei lo accontentò…! Ci insegna i decimali
ad addizionare e sottrarre vediamo verbi regolari
e un altro irregolare.
9 La quiero a mi señorita flor jacarandá
es tan buena y tan bonita
como mi mamá Caterina Caterina hai ragione tu,
che pazienza che ci vuole…
non se ne può più! Voglio bene alla mia maestra, fiore jacarandá è così buona e così bella
come la mia mamma
10 La quiero a mi señorita flor jacarandá
es tan buena y tan bonita
como mi mamá Caterina Caterina hai ragione tu, cancelliamo le parole
dal bel cielo blu. Voglio bene alla mia maestra, fiore jacarandá è così buona e così bella
come la mia mamma
Apenas el sol asoma en el albardón
yo me voy con mi canoa
por el Tiburón.
A orillas del Carabela en San Salvador
me espera feliz la escuela
y ella con amor.
11 Terminada la jornada otra vez remar
de regreso a la ranchada
donde está mamá. Ciarlatani e brontoloni per comodità
dicon sempre: zitti, buoni,
c’è l’austerità! Alla fine della giornata devo remare di nuovo per tornare al villaggio
dove c’è mamma
12 Los verdes camalotales
me verán pasar boyeros y cardenales me saludarán. Ma in un mondo di musoni
che non capirà
voi ridete e state sani a qualunque età…! Le verdi ninfee
mi vedranno passare e gli uccellini
mi saluteranno
13 La quiero a mi señorita flor jacarandá
es tan buena y tan bonita
como mi mamá Caterina Caterina hai ragione tu,
che pazienza che ci vuole…
non se ne può più! Voglio bene alla mia maestra, fiore jacarandá è così buona e così bella
come la mia mamma
14 La quiero a mi señorita flor jacarandá
es tan buena y tan bonita
como mi mamá Caterina Caterina hai ragione tu, cancelliamo le parole
dal bel cielo blu. Caterina Caterina hai ragione tu! Voglio bene alla mia maestra, fiore jacarandá è così buona e così bella come la mia mamma
Come si può notare, la versione italiana mantiene solo la melodia, non riprendendo nessun altro elemento di Maestra Isleña: infatti i due testi sono completamente diversi. Si può affermare dunque che il traduttore ha scelto di seguire il terzo criterio di Franzon (cfr. 1.1.3), quello di scrivere un nuovo testo per la musica originale.
Per quanto riguarda la canzone di partenza, Maestra Isleña viene narrata dal punto di vista di un bambino che frequenta le tipiche scuole di legno delle isole nel delta del fiume Paraná, in Argentina, nei dintorni della città di Tigre. Egli parla della scuola, in particolare della sua maestra per cui prova una particolare simpatia, definendola bella e buona come la sua mamma e come un fiore americano, il jacarandá. Il racconto della giornata scolastica si divide in 3 momenti chiave: nel primo (3° e 4° strofa), il bambino racconta che per raggiungere la scuola, che si trova a San Salvador sulle rive del rio Carabela, deve percorrere in canoa il fiume Tiburón (luoghi fittizi) appena il sole sorge nell’albardón, collina o isoletta circondata dalle acque; nel secondo momento (7° e 8° strofa), egli racconta degli attimi tipici di una lezione, come la campana che suona, la maestra che cancella alla lavagna e che insegna agli alunni la matematica o la grammatica; nel terzo momento (11° e 12° strofa), il bambino racconta il suo ritorno alla ranchada, il villaggio di case tipiche, fatte col tetto di paglia, dove lo aspetta la mamma. Anche per tornare a casa deve remare, e descrive la flora (camalotales, le ninfee) e la fauna (boyeros y cardenales, due tipi di volatili) che vede durante il percorso. Questi tre momenti vengono separati dal ritornello, costituito dalla stessa strofa ripetuta otto volte, in cui il bambino parla della maestra isleña, cioè isolana, che dà il titolo alla canzone.
D’altro canto in Caterina Caterina, non c’è una vera e propria trama: il testo parla appunto di Caterina, una donna sempre di cattivo umore, austera, pigra e musona. Nessuna correlazione quindi con il testo principale, con la conseguente perdita degli elementi geograficamente e storicamente tipici di questa zona dell’Argentina.
Non sono stati resi noti i motivi di questa scelta: tuttavia, è probabile che proprio per la complessità di rendere questi elementi e questa storia così caratteristici del luogo d’origine nella lingua italiana si sia optato per un testo completamente diverso, quello che Low chiama testo di sostituzione (cfr. 1.2). Restano comunque incoerenti le due strofe in lingua originale presenti nel testo di arrivo, infatti i versi “me espera feliz la escuela / y ella con amor” non sono in linea con Caterina e il suo il carattere scontroso.
Come nella prima canzone analizzata, anche qui il numero delle sillabe non viene mantenuto nella versione italiana e lo stesso si può dire dello schema metrico, ad eccezione della quarta e dell’ottava strofa in cui viene mantenuto lo schema originale A-B-A-B. Ciononostante, il testo di sostituzione risulta comunque naturale, proprio perché è stato scritto un testo completamente nuovo.
3.3 Festejo de Navidad – Il bambino che vale un Perù
Con la musica di Herbert Birttrich Ramírez, prestigioso cardiologo e musicista, e il testo di Alfredo Ostoja, docente di diritto, entrambi di Lima, la canzone Festejo de Navidad vinse il concorso di musica natalizia peruviana nel 1965 nella categoria “musica costiera”. Il brano appartiene infatti al genere villancico, un canto tipico della Spagna diffuso in seguito anche in America Latina, che veniva usato inizialmente per narrare i fatti di vita quotidiana di un paese, e successivamente si affermò come genere tipicamente natalizio.
La versione in italiano in gara al 32° Zecchino d’Oro rappresentò il Perù nel 1989 per la seconda e l’ultima volta alla rassegna musicale con il titolo Il bambino che vale un Perù. La canzone fu tradotta in italiano da Paolo Denti e Luciano Beretta, quest’ultimo autore di brani per Celentano, Caterina Caselli, Ornella Vanoni e molteplici sigle televisive, e fu interpretata da Karen Castro Bardalez, una bambina proveniente da Campoy, Lima.
Vediamo ora i due testi a confronto.
TESTO ORIGINALE VERSIONE ITALIANA TRADUZIONE
LETTERALE
1 Burumburumbumbum shhh!
burum burum bum bum shhh! burumburumbumbum shhh!
burum burum bum bum
shhh! .. (musica) – sss! zitti per carità! – sss!
… (musica) – sss! zitti per carità! – sss!
2 Burumburumbumbum shhh!
burum burum bum bum shhh! burumburumbumbum shhh!
burum burum bum bum
shhh! La festa si farà quando si sveglierà! fin che riposerà – sss! zitti per carità!
3 Señor Don José, señora Maria,
ha nacido en Lima
el Niño Manuel. Notte peruviana, sotto il ciel di Lima, tra Maria e Giuseppe
nato è Manuel! Signor Giuseppe Signora Maria
è nato a Lima
il bambino Manuel
4 Los negros del Rímac, traen para él
tondero y festejo,
buñuelos con miel. Una stella in giada dalla lunga coda indica la strada
per le vie del ciel! I neri di Rímac portano per lui
tondero e festeggiamenti
buñuelos con il miele.
5 La comadre Juana será su madrina
y pa’ hacerle caldo mató a su gallina; Manuel, vali un Perù, Manuel…
bambin Gesù, Manuel che per noi tutti hai
pianto tanto! La comare Juana sarà la sua madrina e per fargli il brodo
ha ucciso la sua gallina.
6 Será su padrino el compay Quiñones, pa’ su ahijau’ divino ricos picarones. Manuel, vali un Perù, perciò
io ti regalerò
frittelle al miele, danza e canto! Sarà il suo padrino
il compare Quiñones che per il suo figlioccio divino ha preparato dei picarones.
7 Burumburumbumbum shhh!
burum burum bum bum shhh! burumburumbumbum shhh!
burum burum bum bum
shhh! Zitti!
il bimbo sulla paglia
dorme e Maria lo veglia
mentre lavora a maglia!
8 Burumburumbumbum shhh!
burum burum bum bum shhh! burumburumbumbum shhh!
burum burum bum bum
shhh! Zitti, che l’asinello
se lo si sveglia, raglia
e sveglia il bambinello
che dorme sulla paglia.
Señor Don Josè, señora Maria,
ha nacido en Lima
el Niño Manuel.
Los negros del Rimac, traen para El
tondero y festejo,
bunuelos con miel.
La comadre Juana serà su madrina
y pa’ hacerle caldo
matò a su gallina;
Serà su padrino el compay Quiñones, pa’ su ahijau’ divino
ricos picarones.
9 Burumburumbumbum shhh!
burum burum bum bum shhh! burumburumbumbum shhh!
burum burum bum bum
shhh! … (musica) – sss!
zitti per carità! – sss!
… (musica) – sss!
zitti per carità! – sss!
10 Burumburumbumbum shhh!
burum burum bum bum shhh! burumburumbumbum shhh!
burum burum bum bum
shhh! La festa si farà
quando si sveglierà!
fin che riposerà – sss!
zitti per carità!
11 El negro Gaspar desde Casagrande trae pa’l niñito caña pa’ chupar Zio Gasparre negro porterà al Bambino zucchero da canna dolce di sapor! Il nero Gasparre da Casagrande porta al bambino
canna da zucchero da
succhiare
12 Un fino alfajor, su tío Melchor,
que pa’ su zambito
quiere lo mejor Zio Melchiorre dona una torta buona…
Baldassarre l’acqua
degli aranci in fior! Suo zio Melchiorre
gli ha portato un dolcetto raffinato, che per il suo bambino vuole il meglio.
El buen Baltazar agüita de azar, pa’ que Manuelito
no vuelva a llorar. Il buon Baldassare porta l’acqua di fiori di arancio, per far sì che Manuelito
non torni a piangere.
Manuel, vali un Perù, Manuel…
bambin Gesù, Manuel che per noi tutti hai
pianto tanto!
Manuel, vali un Perù, perciò
io ti regalerò
frittelle al miele, danza e canto!
13 Burumburumbumbum shhh!
burum burum bum bum shhh! burumburumbumbum shhh!
burum burum bum bum
shhh! Zitti!
il bimbo sulla paglia
dorme e Maria lo veglia
mentre lavora a maglia!
14 Burumburumbumbum shhh!
burum burum bum bum shhh! burumburumbumbum shhh!
burum burum bum bum
shhh! Zitti, che l’asinello
se lo si sveglia, raglia
e sveglia il bambinello
che dorme sulla paglia!
Jesusito e’ mi alma, no llores así,
que todos los negros
se mueren por ti, Gesù, anima mia, non piangere così che tutti i neri
muoiono per te
Del Paseo de Aguas vienen hasta aquí, con arroz con leche,
flor de capulí. Dal Paseo de Aguas vengono fino a qui con riso al latte
fior di capulí.
Los de Malambito, traen para ti humitas de dulce,
pan de ajonjolí, Quelli di Malambito portano per te humitas dolci,
pane al sesamo
Jesusito e’ mi alma, no llores así,
que todos los negros
ya estamos aquí. Gesù, anima mia, non piangere così, che tutti i neri
siamo già qui
Come possiamo vedere, Il bambino che vale un Perù è una traduzione (cfr. 1.3), perché nonostante il traduttore si sia preso alcune libertà, è comunque rimasto semanticamente fedele al testo di partenza.
La canzone originale, Festejo de Navidad, riprende la classica storia della Natività, ambientata però nei distretti di Lima, riconoscibili dai luoghi menzionati, ovvero: Rímac (strofa 4), distretto del Perù al nord del dipartimento di Lima, ma anche un fiume; Casagrande (strofa 11), città della costa nord del Perù, situata nella provincia di Ascope; Malambito, zona del distretto di Barranco; Paseo de Aguas, viale nel distretto di Rímac, caratterizzato dalla presenza di corsi d’acqua dell’omonimo fiume. Vengono anche menzionati piatti tipici della gastronomia peruviana e sudamericana, come per esempio: buñuelos, ovvero frittelle col miele; picarones, ciambelline fritte tipiche peruviane preparate con zucca e miele; alfajor, un dolce composto da due biscotti legati da uno strato di dolce o marmellata, diffusi in Spagna e in Sudamerica, anche se la loro origine è araba; humita, un soufflé al mais; e infine il pan de ajonjolí, il pane al sesamo. Un altro elemento tipicamente peruviano è il tondero, danza popolare peruviana (cfr. 3.1). Dunque, possiamo considerare il testo di partenza fortemente limentino, con tanti culturemi. Tuttavia, nella versione italiana gli unici rimandi al Perù sono nella terza strofa “notte peruviana / sotto il ciel di Lima” e nel titolo “vali un Perù”, ovvero un modo di dire risalente al periodo coloniale che significa che qualcosa ha un grande valore.
Nonostante Il bambino che vale un Perù sia abbastanza fedele a Festejo de Navidad, ci sono alcune differenze di resa, dovute all’esplicitazione dei culturemi del testo di partenza: nell’undicesima strofa, “caña pa’ chupar” viene tradotta con “zucchero da canna”. Invece, per quanto riguarda l’alfajor, nella dodicesima strofa, viene fatta una generalizzazione, chiamandolo “torta buona”.
È da aggiungere inoltre che nella sesta strofa, i picarones vengono tradotti con “frittelle al miele”, anche se probabilmente il verso “frittelle al miele, danza e canto” fa riferimento alla quarta strofa, “tondero y festejo / buñuelos con miel”.
Per quanto riguarda le strofe numero 1,2,7,8,9,10,12,14, nella versione originale dei suoni onomatopeici “burum burum bu bum, shhh!” segnano il ritmo dell’introduzione, mentre nella versione italiana queste onomatopee vengono mantenute, tuttavia solo come elemento ritmico cantato dal coro, per essere affiancate da versi non presenti nella strofa originale.
Non verranno confrontate invece le strofe tra la 12° e 13°, dato che si tratta di un ritornello presente solo nella versione italiana, così come le ultime tre strofe, che sono presenti solo in Festejo de Navidad. È necessario inoltre ricordare che, come in ogni canzone straniera della rassegna, sono state aggiunte delle strofe in lingua originale tra l’ottava e la nona strofa, riprese direttamente dalla terza alla sesta strofa della versione originale. La strofa presente solo nella versione originale dopo la dodicesima, “el buen Baltazar / agüita de azar” viene comunque ripresa nella dodicesima strofa della versione italiana, con una traduzione letterale: “Baldassarre l’acqua / degli aranci in fior”.
Come si è detto precedentemente, la canzone è un canto di Natale, e ha dunque la presenza del “Niño Manuel”, ovvero il nome con cui viene chiamato Gesù in molti villancicos tradizionali in lingua spagnola. Si tratta di una “spagnolizzazione” di Emmanuel, che significa “Dio con noi”, ovvero il nome con cui viene chiamato Gesù nella profezia di Isaia 7,14. Il riferimento a Manuel, affiancato comunque a Gesù, viene mantenuto anche nella versione italiana.
Nella versione italiana non si è mantenuto né il numero delle sillabe né le rime, dando quindi priorità al significato del testo. Ciononostante, anche in questo caso, la canzone risulta naturale e cantabile.
In conclusione, si può affermare che Il bambino che vale un Perù risulta abbastanza fedele semanticamente al testo di partenza.
3.4 Che, vos…tango mío – Il canto del gauchito
Che, vos…tango mío è una canzone scritta e composta da Ezechiel Palmieri nel 2001, successivamente inclusa nell’album Wunderkindz. Il giovane interprete è Juan Francisco Greco, componente del gruppo musicale Zeke and the Kiddos, formato dall’autore della canzone e da ragazzi provenienti da diversi paesi, tra cui Argentina, Australia, Brasile, Cina, Grecia, Israele, Italia, Messico, Nigeria e Stati Uniti. Di fatti l’album sopracitato contiene canzoni che rappresentano culturalmente e musicalmente il loro paese di provenienza, dalle quali è stato anche creato un omonimo evento musicale.
Invece la versione italiana, Il canto del gauchito, con musica di Ezechiel Palmieri e testo del paroliere Mario Gardini, ha rappresentato l’Argentina per la sesta e l’ultima volta al 55° Zecchino d’Oro nel 2012, interpretata sempre da Juan Francisco Greco. Alla rassegna, la canzone vinse lo Zecchino Rosso (il premio per la canzone più votata della prima puntata) e lo Zecchino Verde (per la canzone più votata della semifinale). In questo caso l’adattamento italiano è una versione libera che segue il terzo criterio di Franzon (cfr. 1.1.3), dunque è stato scritto un nuovo testo per la musica originale.
Confrontiamo le due versioni nel dettaglio.
TESTO ORIGINALE
VERSIONE ITALIANA TRADUZIONE
LETTERALE
1 Fue en el despertar de esa mañana que
escuché un viejo tango
un viejo tango Vivo in Argentina,
io di sera e di mattina sempre canto…
ti piace tanto Fu al risveglio
di quella mattina che ho ascoltato un vecchio tango, un vecchio tango
2 En su dulce melodía ese amigo me envolvía, tango
y un ritmo que te cautivó Sulla cordigliera
da mattina fino a sera sempre canto…
ma il controcanto chi lo
fa? Nella sua dolce melodia quell’amico mi avvolgeva, tango
e un ritmo che ti ha
affascinato
3 Él buscaba compañía pues ya nadie cantaría un tango
extraño tango Quando nella Pampa c’è l’estate che divampa sempre canto…
e non c’è scampo! Lui cercava compagnia, perché nessuno canterebbe un tango
strano tango
4 Se sentía solo
se sentía triste el tango
buscaba un pibe bueno y compañero como vos Fazzoletto al collo sul cavallo mio criollo canterò…
com’è che sempre canti, ce lo vuoi spiegare o
no? Si sentiva solo
si sentiva triste il tango
Cercava un bravo ragazzo e amico come te
5 Te cruzaste en mi camino
tu puerta le abrirás
¿fue el azar o fue el destino?
Ya lo descubrirás Nel mio cuore vivo un sogno…
parliamone se vuoi sì, però me ne vergogno…
Confidati con noi Ti ho incontrato sulla mia strada
la tua porta gli aprirai è stato il caso o il destino?
Vedrai che lo scoprirai
6 Sólo tengo una respuesta contá cuál es es ésta
y de una vez yo sí te cantaré Conoscete la bambina…
ma chi sarà? Carina…
che nome ha?
che a scuola sta nel banco accanto a me… Ho solo una risposta
dicci qual è è questa
e una volta per tutte io te la canterò
7 No habrá más despedidas
ni heridas te sanaré
verás que hoy tu llanto
calma él E quando tu la incontri succede che
ti senti
Chissà perché?
La musica scoppiare dentro te. Non ci saranno più addii
né ferite ti curerò
vedrai che oggi il tuo
pianto lui lo calmerà
8 Te cantaré con emoción tanguito de mi corazón
te cantaré y volverás
a ser feliz una vez más E canterò, e canterò il tango che nel cuore ho!
così sarà, così sarà
un canto di felicità! Ti canterò con emozione tanguito del mio cuore
Ti canterò e tornerai
a essere felice di nuovo
9 Te cantaré con emoción tanguito de mi corazón
te cantaré y volverás
a ser feliz una vez más E canterà, e canterà il tango che nel cuore ha…
così sarà, così sarà
un canto di felicità! Ti canterò con emozione tanguito del mio cuore
ti canterò e tornerai
a essere felice di nuovo
10 Un funshi y un farol
tamangos de charol E chi lo canterà
poi s’innamorerà. Un cappello e un lampione,
scarpe di vernice
11 Ya no te sentís más solo ya no te sentís más triste, tango
sanaste, tango Quando stamattina mi ha portato la tortina di amaranto
che ami tanto! Già non ti senti più solo già non ti senti più triste, tango
ti sei guarito, tango
12 Por las calles de mi barrio
escucho la gente y te va cantando
en dos por cuatro sin
igual Io non ho parlato ma un bel fiore ho disegnato sul suo banco…
che gioia quando lo
vedrà! Per le strade del mio quartiere
sento la gente che ti canta
in due per quattro senza
eguali
13 Bien porteño bien sureño, escucharte no da sueño, tango
radiante tango Non so mai che dire, ogni volta di arrossire sono stanco…
sappiamo quanto! Ben porteño, ben del sud, ascoltarti non fa venire sonno, tango
radioso tango
14 Música de conventillo de los pobres, de los ricos, tango
en una partitura
ribeteada con amor So che sono grande ma mi tremano le gambe se c’è lei!
ma tu perché non parli,
ma che strano niño sei! Musica del conventillo dei poveri e dei ricchi, tango
in uno spartito decorato
con amor
15 Facciatosta como antes
de nuevo sonreís
hijo de los inmigrantes
volviste a ser feliz Quante volte ve l’ho detto…
ripetilo se vuoi se le parlo, poi balbetto…
ma non lo fai con noi… Facciatosta come prima
sorridi di nuovo
figlio degli immigranti
sei tornato a essere felice
16 En el piano tu resguardo
lo prometió lunfardo
y lo cumplió
y tu aire compadrón E se dopo non le piaccio?
Lo pensi tu… che faccio? Non dirlo più!
io scappo in Patagonia o
giù di là… Nel pianoforte c’è la tua protezione,
lo ha promesso lunfardo
e lo ha fatto
e il tuo atteggiamento
compadrón
17 Un hombre desde el Cielo
yo sé quién es tu abuelo
mi abuelo
con todo orgullo toca el bandoneón Parlare ti sgomenta…
ma che farò?
Tu canta ci proverò
vedrai che insieme a te
lei canterà! Un uomo dal paradiso
io so chi è tuo nonno mio nonno
che suona orgoglioso il
bandoneón
18 Te cantaré con emoción tanguito de mi corazón te cantaré y volverás
a ser feliz una vez más Te cantaré con emoción tanguito de mi corazón te cantaré y volverás
a ser feliz una vez más. Ti canterò con emozione tanguito del mio cuore
ti canterò e tornerai
a essere felice di nuovo
19 Te cantaré con emoción tanguito de mi corazón te cantaré y volverás
a ser feliz una vez más Te cantaré con emoción tanguito de mi corazón te cantaré y volverás
a ser feliz una vez más. Ti canterò con emozione tanguito del mio cuore
ti canterò e tornerai
a essere felice di nuovo
20 Tu hermoso sonido endulza los oídos che, vos…tango mío
amigo de arrabal C’è un tango che sento. mi sembra muy bonito… rapido gauchito
lo sta cantando lei… Il tuo bel suono addolcisce le orecchie che, vos…tango mio,
amico di periferia
21 Te cantaré con emoción tanguito de mi corazón E canterò, e canterò
il tango che nel cuore ho Ti canterò con emozione tanguito del mio cuore
te cantaré y así será que la Argentina
così sarà, così sarà che tutto il mondo…
ti canterò e così sarà che l’Argentina
¡cantará!
canterà!
canterà!
Quello che salta subito all’occhio confrontando le due canzoni, è che la versione originale in spagnolo narra una storia di tango, mentre la versione italiana presenta quella di un gaucho. Sebbene entrambe le figure siano tipicamente argentine, culturalmente essi sono ai poli opposti: il tango è urbano, di periferia, e il suo personaggio chiave è il compadrito, che contribuì alla nascita e allo sviluppo del tango (D’Orazio, 2016); al contrario, la figura del gaucho è tipicamente rurale, della Pampa, ed è colui che si occupa del bestiame.
Nel testo di partenza, il bambino protagonista della canzone Che, vos…tango mío promette al tango, tanto caro a suo nonno, che la gente non lo dimenticherà, e che lui, come tutta l’Argentina, continueranno a cantarlo. Dunque, nonostante molti considerino il tango ormai “invecchiato”, il testo di questa canzone lascia un messaggio di speranza: che se si continuano a ricordare e a portare avanti le tradizioni e le musiche di una volta, queste non verranno mai dimenticate.
Nel caso de Il canto del gauchito, invece, si narra una storia ambientata nella Pampa, in cui un piccolo gaucho canta per la sua compagna di banco di cui è innamorato. È stato chiesto sia all’autore originale del testo sia all’autore del testo italiano il motivo di questo cambiamento. Gardini sostiene che sia nato tutto da un suo errore: quando gli è stato chiesto dal direttore artistico dell’Antoniano, all’epoca Siro Merlo, di scrivere un testo in italiano per una canzone argentina, l’idea iniziale era quella di riuscire a portare la sensualità del tango argentino all’interno del mondo dei bambini. Tuttavia, come riferito da Gardini in occasione di una conversazione privata, il tema del testo originale non era adatto per lo Zecchino d’Oro, quindi gli venne in mente di parlare del primo amore, ispirandosi quasi a Peggy e Charlie Brown, protagonisti dei fumetti Peanuts. In un secondo momento, al momento di cercare il titolo, gli era anche stato suggerito il gardelito, ovvero un piccolo fan di Carlos Gardel, uno dei maggiori esponenti del tango. Trattandosi però di una canzone indirizzata a un pubblico di bambini, lui ha pensato che in pochi avrebbero capito questo riferimento, e decise di sostituirlo con la figura del gauchito (2021).
D’altro canto, Palmieri, l’autore originale del testo, sostiene che non era al corrente di questo cambiamento e di averlo scoperto solo in occasione dell’anteprima di quell’edizione. Per lui non è stato piacevole, dato che, come già detto in precedenza, il tango e il gaucho non hanno nulla in comune a livello culturale. Egli considera un grande errore narrare la storia di un gaucho in un brano avente melodia e ritmo tipici del tango, dal momento che anche i gaucho hanno un proprio genere musicale, il chamamé, di cui si è parlato nel sottocapitolo 3.2.
Si deduce quindi che il principale motivo di questo cambiamento è stato forse la conoscenza non approfondita della cultura argentina da parte dell’autore italiano, anche se si ipotizza una certa difficoltà nel mantenere e nel rendere nel testo di arrivo culturemi argentini e del tango, come: funyi, un cappello nero, grigio o marrone con il bordo nero, immancabile nell’abbigliamento tanguero – la parola “funzi”, ovvero fungo, deriva dal dialetto genovese che si parlava a La Boca (Casas 1991:37); compadrón, un atteggiamento popolare, provocatorio, litigioso; tamangos, scarpe rustiche di pelle e tessuti grezzi o di carcasse di pneumatici, con il pelo rivolto verso l’interno, anche se il termine si è esteso successivamente a qualsiasi tipo di scarpa; farol, lampione; conventillo, case popolari destinate agli immigrati, luogo in cui è nato il tango (Principale 2019); porteño, nome degli abitanti di Buenos Aires; bandoneón, un tipo fisarmonica dalla forma esagonale tipica del tango; lunfardo, gergo dei bassifondi di Buenos Aires, alcune delle cui parole sono state introdotte nello spagnolo parlato in Argentina e in Uruguay; pibe, un ragazzo, un “pivello”; vos, seconda persona singolare; sentís al posto di “sientes”, ovvero “senti”; sonreís al posto di “sonries”, ovvero “sorridi”; che, espressione tipica argentina per richiamare l’attenzione di qualcuno senza nominarlo; contá al posto di “cuenta”, ovvero “racconta”.
Nella versione italiana si è cercato di mantenere l’“argentinità” della canzone attraverso l’utilizzo di prestiti, come criollo, razza equina autoctona (strofa 4); niño, ovvero bambino (strofa 14); muy bonito, cioè molto bello e rapido gauchito, ossia gauchito veloce (strofa 20). Nonostante questo tentativo, gli elementi culturali caratteristici della canzone di partenza si sono comunque persi nel testo di arrivo.
Sono anche state effettuate delle modifiche sul ritornello scritto originariamente dall’autore, avente una figura ritmica tipica della milonga, non solo dal punto di vista armonico, ma anche per la melodia e la ritmica: gli adattatori italiani chiesero a Palmieri di riscrivere un ritornello in lingua originale più semplificato, al fine di renderlo più cantabile per i bambini. Tuttavia, anche in questo caso l’autore non era stato informato del cambiamento del tema, per questo motivo le strofe in lingua originale sono tematicamente discordanti con il testo in italiano. Anche la melodia è stata leggermente modificata, infatti la quantità delle sillabe viene mantenuta solo nel ritornello (8°, 9°, 18° e 19° strofa), il quale risulta infatti lineare all’originale, e nelle strofe numero 2, 12 e 15. Un altro elemento a subire modifiche è stato lo schema metrico, che viene conservato solo nella seconda strofa (A-A-B-C), nella quinta e nella quindicesima (A-B-A-B), nella sesta (A-B-A-C-D), nella decima (A-A) e nella sedicesima (A-B-A-B-C). La canzone risulta comunque cantabile e naturale.
CONCLUSIONI
Con la presente tesi si è cercato di capire in che modo vengono tradotti i testi delle canzoni, in particolare quelle rivolte al pubblico infantile. A tal proposito è stato utile partire da un’analisi teorica, in cui sono state prese in considerazione le proposte metodologiche di vari esperti e studiosi del campo, tra cui la Teoria dello Skopos di Vermeer, il Pentathlon Principle di Low e i cinque metodi di Franzon.
Come è stato possibile dimostrare con le canzoni prese in analisi, i criteri di cantabilità e flessibilità vengono sempre rispettati, permettendo la trasmissione dei rispettivi messaggi attraverso un tipo di linguaggio adeguato al pubblico in questione. Infatti, mentre nei casi delle due canzoni rappresentanti il Perù si è rimasti fedeli al testo di partenza, per le due canzoni rappresentanti l’Argentina si è optato invece per creare, nel caso di Caterina Caterina, un testo di sostituzione, infatti quello italiano è stato totalmente riscritto cambiando persino l’argomento della canzone originale, pur mantenendo la melodia; invece, nel caso de Il canto del gauchito, seppur il testo di arrivo non presenta alcuna corrispondenza con quello di partenza, riprende comunque elementi culturali del paese rappresentante, anche se con soggetti differenti.
A tal riguardo è stata inoltre dimostrata l’importanza del ruolo che giocano il pubblico e la cultura di arrivo nelle scelte di traduzione e di adattamento: infatti i testi originali dei quattro brani sono ricchi di culture tipici del paese di provenienza, spesso difficili da rendere in italiano, soprattutto tenendo conto che le canzoni in questione sono rivolte a un pubblico infantile. Di conseguenza, anche se in alcuni casi si è cercato di mantenere i riferimenti culturali nel testo di arrivo attraverso l’utilizzo di addomesticazioni, generalizzazioni ed esplicitazioni, spesso essi sono stati perduti o trascurati.
Per comprendere meglio il modo in cui queste canzoni straniere sono state proposte ai bambini italiani, si è ritenuto necessario fare una panoramica sul nostro repertorio musicale ad essi dedicati, soffermandoci sulla storia dello Zecchino d’Oro e sulle sue caratteristiche che lo hanno reso internazionale.
Durante lo svolgimento di questo lavoro ho trovato estremamente interessante scoprire il punto di vista di alcuni esperti, tra cui Gardini, paroliere del testo in italiano de Il canto del gauchito, che nelle canzoni cerca di parlare ai bambini attraverso delle “immagini”, per far sì che essi possano immaginare le parole, il tutto con un linguaggio semplice e chiaro. È stato inoltre fondamentale analizzare l’equivoco culturale del brano sopracitato attraverso il confronto con l’autore del testo in spagnolo, Palmieri, analisi che mi ha permesso di capire l’importanza di conoscere non solo il contenuto e la cultura di partenza, ma anche quella di arrivo, di cui bisogna tenere conto per prendere le migliori decisioni nel processo di adattamento. Ho avuto anche conferma dalla maestra Sabrina Simoni, attuale direttrice del Piccolo Coro “Mariele Ventre” dell’Antoniano, della molteplicità di figure professionali che si occupano dell’adattamento delle canzoni straniere da destinare ai bambini: nonostante la maggior parte di esse non sia a conoscenza della lingua e della cultura di partenza, la figura del traduttore in questo procedimento spesso è in secondo piano o non viene considerata affatto. Grazie alle testimonianze raccolte durante la mia visita all’Antoniano ho dunque compreso l’immenso lavoro svolto per la creazione di questi brani, per la cura dell’intera rassegna e la preparazione dei piccoli interpreti, in particolare il Piccolo Coro, che deve imparare alla perfezione non solo le strofe in italiano, ma anche quelle in lingua straniera.
Mi preme aggiungere inoltre che, purtroppo, l’internazionalità della trasmissione fa riferimento particolarmente ai decenni passati: infatti, nonostante le numerose tournée del Piccolo Coro dell’Antoniano svoltesi in Cina negli ultimi anni, la rassegna non può essere considerata ancora internazionale in quanto da qualche edizione vi partecipano solo canzoni italiane. Tuttavia, rimangono nel nostro repertorio le culture e le musicalità straniere delle edizioni passate, ed è stata mia intenzione mantenere viva una parte di esse attraverso questa tesi. Infatti, nello svolgimento di questo elaborato e dagli incontri che ho avuto modo di organizzare si è acceso in me il desiderio di approfondire ulteriormente l’importanza di far conoscere lingue e culture diverse attraverso la musica ai bambini di tutto il mondo, magari utilizzando come strumento anche le canzoni dello Zecchino d’Oro.
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