I primi ricordi risalgono ad una visita da un signore milanese che aveva una grande casa nel centro di Milano una domenica pomeriggio di una grigia giornata. Come era mio solito rimanevo nella mia ignoranza del motivo per cui mia mamma, mio fratello ed io ci stessimo impegnando a raggiungere quella destinazione. Io stavo spesso in silenzio, osservavo, non chiedevo. L’abitazione aveva un grande salotto, pieno di soprammobili e foto incorniciate, e al centro quello che per me era un incredibilmente enorme pianoforte a coda. Uno alla volta mio fratello ed io ci esibimmo in prove cantate di non so quali brani, non ricordo se a scelta nostra o specificatamente richieste dal simpatico signore sorridente dai capelli bianchi. La decisione non venne presa in quella occasione, almeno non fu li’ che ci venne comunicata, ma dopo qualche giorno si venne a sapere che il Maestro Martelli aveva scelto (poco più tardi venimmo a sapere che era il padre del per noi bambini più famoso Maestro Augusto Martelli, stabilmente presente seduto ad un pianoforte in diversi programmi televisivi di Canale 5 di quell’epoca). A partecipare alla 21esima edizione dello Zecchino d’Oro a rappresentare l’India sarebbe stato il 7enne Kaishik Jayakar. Sì, perché di fatto quello era stato un provino per capire chi fra mio fratello ed io fosse più adatto ad essere mandato a Bologna quell’anno a cantare da solista con il coro dell’Antoniano a fare da supporto canoro. Non sapemmo mai perché scelsero me ma ipotizzammo che il fatto che fossi più giovane aveva avuto il proprio peso, anche se ricordo di aver pensato per molto tempo che la decisione fosse maturata perché ritenuto più intonato, idea alimentata da una sanissima competizione fra fratelli.
Scoprimmo poi che la presenza di due bambini di origine indiana e dell’età “giusta” a Pavia, a pochi chilometri da Milano, era stata segnalata dall’ambasciata indiana a Roma.
Era il 1978, non ho assolutamente idea di quanto tempo sia passato da quel provino al giorno in cui la partenza per Bologna segno’ l’inizio della mia avventura. Ho pero’ impressi nella mia mente alcuni episodi o momenti che la precedettero, uno in particolare piuttosto traumatico e che rischio’ di far saltare tutto.
Partiamo pero’ dalla canzone e da quella serata seduto con mia mamma nello studio di casa ad ascoltare da un piccolo registratore a cassetta Panasonic “Daadi amma, daadi amma manjao” per la prima volta. Devo essere sincero, la canzone non mi faceva impazzire, era un po’ una nenia e gli strumenti musicali utilizzati nella musica popolare indiana tendono ad enfatizzare questa idea.
Naturalmente non espressi questa sensazione, anche se forse la mia comunicazione non verbale evidenziava una certa insoddisfazione, non era nelle mie corde lamentarmi o esternare insofferenze, ciononostante mi feci convincere dal fatto che le parole della canzone erano in fondo una dedica d’amore nei confronti della propria nonna e questo basto’ per sorvolare sul basso gradimento del brano musicale. I nonni materni infatti erano molto legati a noi e noi a loro, sentimenti accentuati dalla lontananza e dalla bassa frequenza con cui avevamo modo di fare loro visita a Bombay.
Pochi giorni prima della partenza per Bologna accadde questo.
Ho già avuto modo di rimarcare il fatto che da piccolo (e forse non solo allora) fossi particolarmente silenzioso, ecco, questo voleva anche dire che quando ero in casa non c’erano particolari segni visibili o udibili della mia presenza. Bene (in realtà male…), con queste premesse, una delle mattine nei giorni prima della partenza per il soggiorno bolognese, capito’ che durante uno dei movimenti che mia mamma faceva regolarmente in automatico ogni mattina da diversi anni per portare la pentola con il latte caldo (bollente…) dal fornello alla tavola dove erano posizionate tazze e scodelle pronte a riceverlo, io passassi alle sue spalle in maniera distratta e, ovviamente, silenziosa. Il risultato fu un’ustione di non so quale grado (per me poteva essere di grado infinito per il dolore che provai in quell’istante e per il ricordo del grido, il mio, che sentii risuonare in cucina), ma per fortuna le zone del mio corpo colpite dal latte bollente non furono critiche o pericolose (i.e. occhi, viso) ma solamente una parte della spalla e del petto. Ricordo poi che il viso sorridente e conciliante di un medico amico di mio padre e le prime medicazioni aiutarono a ridimensionare la portata di quell’episodio… nonostante sia ancora scolpito nei miei ricordi ad immagini il viso di mia madre in lacrime e mortificato al mio ritorno dall’ospedale. Penso che quello fu l’ultimo giorno in cui girai per casa con le calze ai piedi che facevano di me un folletto che pattinava silenziosamente sulle piastrelle di casa e che spuntava improvvisamente alla vista sorpresa dei presenti.
Sulla qualità del mio soggiorno a Bologna comunque questo episodio influì ben poco, si tradusse solamente in alcuni periodici e fastidiosi cambi di bendaggi e qualche limitazione nei movimenti del busto nei primissimi giorni.
Dell’esperienza dello Zecchino d’Oro ricordo le sessioni di prova con Mariele, il suo viso rassicurante, il suo sorriso…l’idea che trasmetteva era che qualsiasi cosa uno cantasse fosse perfetta pur riuscendo, a tua insaputa, a correggerti ed ad ottenere da te il massimo. Ecco, sono convinto che Mariele Ventre spesso riuscisse a raggiungere l’obbiettivo di far cantare in diretta televisiva e con eccellenti risultati anche il bambino più stonato e meno dotato dell’universo!!!! Con Mariele si era instaurato un rapporto stupendo, per molto tempo rimasi nell’illusione che dopo l’esperienza dello Zecchino d’Oro mandasse in particolare a me ogni anno una cartolina di saluti e abbracci a suggellare una profonda amicizia e un enorme affetto che avevamo l’uno per l’altra.
Ricordo che sentire il coro dell’Antoniano e l’effetto sonoro ne scaturiva mi procurava spesso e volentieri i brividi, avevo la sensazione che il coro emettesse suoni come se fosse un unico strumento o diversi strumenti in perfetta sintonia, e questo già allora era per me chiaro che fosse tutto frutto delle capacita’, dell’espressività e della coinvolgente mimica di Mariele (senza nulla togliere ai membri del coro, intendiamoci!!!).
Era un mondo per me nuovo e strano, la sala di registrazione, lo studio televisivo, l’albergo pieno di famiglie e di bambini, la vita di tutti i giorni condivisa con tante persone da tutto il mondo. Impossibile annoiarsi, impossibile avere nostalgia di casa.
In particolare per un bambino come ero io, timido, schivo, silenzioso, accomodante, un’esperienza come quella era qualcosa di importante, di anomalo, di sfidante. E le sfide non tardarono ad arrivare con l’avvicinarsi dei giorni dell’evento prettamente scenico.
Dell’esperienza televisiva ricordo con grande imbarazzo la presenza di Kabir Bedi come rappresentante Unicef a cui era stata dedicata, in una delle giornate in cui si svolgeva lo Zecchino, parte della diretta durante la quale qualche bambino avrebbe dovuto pronunciare un messaggio di pace o qualcosa del genere (chi meglio di un bambino indiano di fianco a Kabir Bedi per farlo???). Beh, non ricordo cosa successe nel dettaglio, ma sta di fatto che quel messaggio non solo dovetti leggerlo ma anche trovare il foglietto su cui era stato scritto e “memorizzato” fu un’impresa…
Ad aumentare il livello di imbarazzo era anche Cino Tortorella che sembrava particolarmente interessato a strappare dai bambini, e quindi anche da me, qualche parola durante le esibizioni degli altri o nelle pause della diretta; noi, in attesa di cantare, stavamo tutti seduti su una piccola pedana sul palco, e il Mago Zurli’ si divertiva a intrattenerci (forse anche per evitare che facessimo altro e per tenerci sotto controllo), ma in fondo sembrava trarre piacere dalle interazioni coi bambini e dalle prese in giro divertenti). Fu appena prima che salissi sul palco a cantare che il Mago Zurli’ inizio a “stuzzicarmi” chiedendomi della presenza di presunte fidanzatine ad attendermi a casa. Molto probabilmente risposi per tagliare corto ed evitare che le domande diventassero ancora più insistenti e imbarazzanti e dissi che sì, c’era una fidanzatina di nome Simona. Una volta arrivato il mio turno al microfono ripropose l’argomento chiedendomi di pronunciare in diretta il nome della “sfortunata”. In aggiunta alla vampata di calore di imbarazzo appena prima dell’esibizione, non fu di aiuto venire a sapere, settimane dopo, che Simona, al momento di udire il proprio nome pronunciato in quei termini e in eurovisione, sia corsa in bagno a piangere…Nonostante questa associazione fra Zecchino d’Oro e relazioni sentimentali non fosse proprio partita col piede giusto, devo dire che questo passato da piccolo cantante con i propri 15 minuti di notorietà, nel corso degli anni, più o meno consapevolmente, e’ stato utilizzato dal sottoscritto per trovare primi argomenti di conversazione negli approcci con le ragazze…
E poi cantai, sotto luci accecanti che provvidenzialmente non permettevano di vedere molto oltre le videocamere puntate verso di noi, duro’ poco, pensai, non furono momenti interminabili, tutt’altro. Mariele forse era in grado di fare anche questo, di mettere a proprio agio i bambini-cantanti, di far si’ che il momento di tensione si trasformasse in una sfera ovattata in cui il bambino si trovava a ripercorrere senza paura tutte le informazioni e i consigli che aveva ricevuto nelle settimane precedenti. Tutto questo con il suo sguardo e il suo sorriso rassicurante. Fu tutto talmente rapido che di quanto avvenne sul palco e nei momenti successivi non conservo tante immagini nella mia mente. Ma la sensazione di aver vissuto in una enorme famiglia per qualche settimana lontano da casa, quello si’ che rimase e rimarrà.
Al ritorno a casa e a scuola dai miei compagni di classe ricordo l’abbraccio lunghissimo e caloroso di Massimo, il mio migliore amico di allora, la mia sorpresa per il fatto che qualcuno avesse sentito così intensamente la mia mancanza, i silenzi e il far finta che nulla fosse successo con Simona, le richieste, in più di un’occasione, degli insegnanti di cantare per la classe (questa cosa duro’ fino al liceo…tremendo…) e molti anni più tardi la ricerca spasmodica e insistita di immagini di repertorio che potessi rivedere anche solo per una volta mentre vivevo quell’esperienza e le espressioni che avevo assunto durante l’esibizione. Ecco, rimane il rammarico di avere vissuto un periodo felice e coinvolgente per me e i miei cari, senza la possibilità’ in qualche modo di viverlo o riviverlo con i miei cari di oggi.
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