Ci sono magie che non hanno fine, ma il ricordo non è una cosa che viene da sé, va alimentato, va sostenuto, va perpetuato. E qui non è neanche solo questione di ricordare Mariele (come potrebbe essere dimenticata?), ma di ricordare il suo immenso lavoro di musicista. Questo è ciò che fanno i Vecchioni, e come lo facciano è  evidente in ogni loro esibizione, come quella di venerdì sera alla Biblioteca di San Francesco.

Un concerto che ha visto la riproposta di vecchi classici dello Zecchino (in alcuni casi cantati dai protagonisti originari), alternati a incursioni disneyane, a brani dal repertorio colto (i mozartiani Ave verum K618 e la Ninna nanna K350) e a canzoni di ispirazione religiosa.

Ma naturalmente non è tutto qui: qualsiasi coro può cantare “Nella vecchia fattoria”, “Il caffè della Peppina”, o “La ninna nanna del chicco di caffè”, altra faccenda è farlo “come lo faceva il Piccolo Coro dell’Antoniano”. Con le tipiche sonorità date dai suoi peculiari impasti vocali. Ed è qui che i Vecchioni di Mariele si distinguono e si legittimano come testimonianza viva del lavoro della Maestra: nel prodigio di recuperare esattamente quelle armonizzazioni (e quindi quell’atmosfera sonora) intuite da Mariele e che hanno “fatto” l’unicità del Piccolo Coro.

Merito va dato certamente al direttore Luciana Boriani che ha perfettamente preparato le voci, ma sicuramente in questo i cantori sono avvantaggiati dal fatto di avere tutti militato nella storica formazione dell’Antoniano.

Ed è forse proprio questo che permette loro di proseguire quella storia: perché nonostante un organico ridotto rispetto a quello originario, nonostante le voci “cresciute” rispetto a quella da bambini di un tempo, nonostante lo sbilanciamento tra voci maschili e femminili, quello che si è sentito l’altra sera è lo stesso suono di allora e da quel suono si è capito, che sì, la storia di Mariele è ancora viva e che se loro lo vorrano vivrà ancora a lungo.

Lucio Mazzi
https://www.luciomazzi.com/
(Giornalista, critico musicale e saggista italiano)