Non sono mai stata molto portata per il canto, ma la musica mi è sempre piaciuta. Ascoltare altre persone cantare, il suono delle voci, degli accompagnamenti musicali era qualcosa che mi emozionava, mi metteva allegria, mi faceva sentire bene. Per questo, da bambina, ogni autunno era scandito dalla messa in onda dello Zecchino d’Oro, dove un “esercito” di bambini era protagonista con tante bellissime canzoni. Per me era un appuntamento fisso, che spesso guardavo con la mamma. Il bello dello Zecchino d’Oro era che non si percepivano smania di vincere o competizione. Erano bambini che cantavano e si divertivano. E io con loro. Il giorno dopo ogni puntata, a scuola, commentavo le canzoni insieme ai compagni e alle maestre. “A me piace questa”, “A me più quella”, “Io mi sono innamorato di quell’altra”. Era divertente parlarne insieme. Se ero fortunata, poi, arrivava in regalo anche la musicassetta con tutti i brani di quell’edizione, da riascoltare a ripetizione ogni giorno, tanto che ancora adesso ricordo l’intero testo di “Metti la canottiera” o dei “Folletti d’Islanda”. Accanto ai solisti, la mia attenzione spesso si concentrava sul Piccolo coro. Edizione dopo edizione, vedevo i bambini crescere, così come crescevo io. Li osservavo cantare, guidati da Mariele, prima, da Sabrina, poi. Mi chiedevo come sarebbe stato far parte del coro, mi immaginavo accanto a uno di loro, mentre anch’io cantavo a tempo con il gruppo. Avevano tutti l’espressione allegra, si vedeva che stavano facendo qualcosa che li divertiva. Poi c’erano Topo Gigio, Mago Zurlì… Insomma, lo Zecchino d’Oro era come una piccola grande festa. Dal sapore genuino e vero, che oggi pochi programmi televisivi conservano. Quei momenti rimangono nel mio cuore e ancora oggi, quando va in onda lo Zecchino d’Oro, non posso non fermarmi per un po’ su Rai 1, ad ascoltare qualche canzone e a tornare con la mente a quando ero bambina.
Michela Ricci
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